Anthony Rother
My Name Is Beuys Von Telekraft
1984: Manuel Gottsching, la sua chitarra e un disco dal titolo E2-E4. Nasceva la musica techno.
E pensare che il signor Gottsching si era composto quella musichetta solo per avere qualcosa da ascoltare durante il viaggio in aereo del giorno dopo. Da non crederci.
2008: Anthony Rother fonda la sua nuova etichetta, la Telekraft, e la musica techno cambia faccia. Esce My Name Is Beuys Von Telekraft, un capolavoro assoluto. Le influenze sono molte: i Kraftwerk, John Carpenter, Vangelis, i Tangerine Dream della seconda metà dei Settanta, e chiunque ci senta dellaltro aggiunga pure; a noi interessa solo il risultato finale.
La musica e la sua essenza.
Il suo nome è Beuys Von Telekraft
Lo scienziato Bueys Von Telekraft era solito rinchiudersi nel suo laboratorio. Non si fermava un istante, non un solo attimo di tregua dava alla sua fervida mente: voleva realizzare quella macchina del tempo da tanto agognata. Dopo molti tentativi riusciva a portare a termine il suo progetto, ed ecco, che dopo una vita spesa al servizio della scienza, questa, come da tempo aveva sperato, singinocchiava a lui.
Era riuscito ad ottenere quello che aveva da sempre sognato: far giungere da chissà quale futuro remoto, di chissà quale galassia sperduta, appartenente a chissà quale lontano universo, una nuova musica di una misteriosa e sconosciuta civiltà, tecnologicamente più evoluta della nostra.
Non aveva la più pallida idea cosa avrebbe comportato tutto ciò
Magnum Opus
My Name Is Beuys Von Telekraft è una grande opera composta da due dischi monumentali: il primo appartiene al Rother più classico, quello dalle movenze electro-Kraftwerkiane, ma ancora inedito per forza, potenza ed espressività. Tutte doti che il Nostro utilizza per riuscire a sfasare i classici canoni della ritmicità. Motorik gotici (My Name Is Telekraft), computer music del prossimo millennio (64 Bit Audio) e clangori provenienti da catene di montaggio robotiche (Welcome To My Laboratory) si occupano di tutto il resto.
E poi cè Il secondo disco, che è pura geometria sonora del cosmo. Il suono si espande come pulviscolo attraverso laria, la inebria, la immobilizza, crea vortici attraverso i quali viene risucchiato lentamente, metamorfizzato ed espulso rapidamente: pulsa come un cuore meccanico che scandisce le sue vibrazioni, a tratti talmente rigide e rigonfie che sembra quasi di poterle toccare. Un rigurgitare crepitante, pieno stracolmo di tintinnii elettronici, che si avviluppano, abbandonano il nucleo materno dove si trova il suono primordiale, e non vi ritornano mai più.
Mai più.
E poi il silenzio; il silenzio come non lo avevamo mai percepito fino ad ora. Lo apprezziamo questo silenzio, adesso e per sempre. Finalmente riusciamo ad apprezzare il silenzio.
E il vuoto è attorno a noi.
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