R Recensione

5/10

Bomb The Bass

Back To Light

A Bomb The Bass piace mettere titoli antifrastici ai propri dischi: ora è ufficiale. Dopo il ritorno sulle scene, nel 2008, con un “Future Chaos” che nulla aveva a che fare con sonorità futuristiche e tantomeno caotiche, ora il bombatore di bassi se ne esce con un “Back To Light” che è, nonostante i ritmi alti e la ritrovata vena dancefloor, un lavoro fitto di trame scure. Un ribaltamento delle origini, per uno che a fine anni ottanta, grazie al successo trend-setter del singolo "Beat Dis" e della sua copertina, aveva lanciato lo smiley come simbolo dell’acid-house e dell’impasticcamento rave. Ora il faccino sorridente ghigna, la house ha virato verso una techno basica, e l’estasi sembra stagnare negli abissi.

Tim Simenon, ossia il bombatore di bassi, di virate ne sa qualcosa, avendo ormai toccato, nell’arco dei suoi cinque studio-album e del suo fittissimo curriculum da dj, tutte le sfaccettature della musica elettronica recente, passando anche per hip-hop, breakbeat, e soprattutto trip-hop, negli anni di grazia bristoliani (lui, londinese, partecipò all’oscurità del movimento, antifrasticamente, con “Clear”, 1995). Dopo 13 primavere di silenzio era stata una bella notizia, due anni fa, ritrovarlo in forma, nelle reti di un electro-pop introverso tanto distante dalla pista quanto vicino a un’ombrosa eleganza da vecchi lupi, sicché ora dispiace vederlo giocare una carta affrettata. E dire che il treno era quello giusto: dopo la collaborazione per il remix di “Black River” (con la voce di Mark Lanegan: ascoltare!), Simenon era riuscito a convincere Gui Boratto a produrgli il disco nuovo. La fusione delle due sensibilità, però, finisce per dare l’impressione di un reciproco annullamento, per effetti molto monolitici che cozzano sia con il trasformismo di Simenon sia con la visionarietà del dj brasiliano (anche se l’ultimo “Take My Breath Away” non sfoggiava di certo l’inventività di “Chromophobia”).

Sicché ci si ritrova, fin dalla prima traccia, immersi in una techno compatta e poco fantasiosa, scandita da patterns ripetitivi e da poche idee a corollario. Neppure le melodie vocali spiccano: Paul Conboy, che presta la sua voce malinconica a quattro dei nove brani cantati, entra solo a tratti in sintonia con la dura impertinenza delle basi. Se convince il martellamento uptempo di “Boy Girl”, dove Conboy appare come un Thom Yorke pieno di anfetamine, e passa “The Infinites” (idem: i cori sembrano provenire, ma drogati, da “The Bends”), non altrettanto funzionano “Blindspot” (skippare) e “Burn Less Brighter” (molto novanta robotici).

C’è qualche bel momento, comunque, perché Simenon rimane uno di classe: “Price On Your Head” prende dai Faithless di metà ’90 e mesce con le raffinatezze dance dei Roÿksopp migliori, e tra beat profondi e la voce vellutata di Richard Davis si gode. Piace meno qualche citazione più vulgata (“Start” che fa il verso a “Hey Boy, Hey Girl” dei Chemical Brothers), e spiace senza mezze misure il pezzo strumentale scritto con Martin Gore (sì, lui: Simenon aveva prodotto i Depeche Mode in “Ultra”), tutto raccolto in un fraseggio di synth ravvivato da un finale sinfonico che stona anche per i suoi richiami ‘80 (“Milakia”). In “Up The Mountain”, invece, canta Sarah O’Shura dei The Battle Of Land And Sea: l’esperimento di una voce folk applicata ai bpm di una techno torva suona interessante (glacialità Goldfrapp + Everything But The Girl) senza entusiasmare.

Piccola delusione, Tim.

 

Myspace

Sito ufficiale del disco (ohibò!)

"The Infinites"

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 1 voto.
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