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R Recensione

8/10

Carl Craig & Moritz Von Oswald

Recomposed

La prima cosa che colpisce è il logo, l’iconografia regale con cui sono state infiorettate alcune fra le più esaltanti performance musicali del secolo scorso: un simbolo per chiunque abbia avuto a che fare, anche solo di striscio, con ascolti “classici”. Ciò appurato, un osservatore distratto potrebbe pensare di trovarsi al cospetto dell’ennesima (uff…) rilettura “mahleriana” targata Abbado, quando invece i nomi scolpiti nel giallo acceso dell’intestazione sono (udite, udite…) quelli di due musicisti techno. Sì, insomma… la techno, sapete no? Quella roba da ballare. Che non è “musica” perché non c’ha la batteria vera, zero chitarre… avete capito, no? La techno. Una delle cose più sconvolgenti di tutto il ‘900. E se l’hanno compreso i titolari di una più che centenaria etichetta discografica specializzata in musica classica, in futuro si spera possa riuscirci persino qualche incorreggibile indie-rocker (o è forse chiedere troppo?).

Seconda cosa: questo album poteva (sottolineo: poteva…) essere una ciofeca. D’altronde, commissionare a due musicisti contemporanei la rielaborazione di materiale composto da Maurice Ravel (il “Bolero”, la “Rapsodia Espagnola”) e Modest Mussorgsky (“Bilder einer Ausstellung”) è evento capace di dare adito alle congetture/sospetti più sfrenate/i. Ma anche qui, tranquilli… pericolo scampato. I due professionisti chiamati all’azione sono infatti Carl Craig e Moritz Von Oswald, mica pivellini: l’uno detentore delle sacre chiavi della Detroit post-“Belleville Three”, l’altro – il berlinese – artefice di quella techno rigorosa e scientifica che farà delle uscite Basic Channel un traguardo di assoluta originalità nel panorama “electronico” dei ‘90s. Artisti di cuore e cervello, dunque; qui talmente ispirati da creare qualcosa che va oltre la pur pionieristica “comunicazione fra due mondi” posta a fondamento (trasparente) dell’operazione.

Terza uscita di una collana (Mathias Arfmann e Jimi Tenor i titolari dei precedenti volumi) votata a rileggere i classici attraverso lo sguardo della modernità, “Recomposed” è polimorfo ciclope che, con occhio registratore e vigile, rievoca tanto le radici più remote del suono techno (i Kraftwerk, la “E2-E4” di Manuel Göttsching) quanto le avanguardie minimaliste che, in un modo o nell’altro, seppero generarle (Terry Riley, Steve Reich); una colossale sinfonia techno capace di inglobare la sua storia e le storie che finora non le sono ancora appartenute; opera di confine, scivolosamente borderline, in cui la manipolazione del materiale di partenza (le incisioni sono quelle dirette da Herbert Von Karajan con la Philarmonic Orchestra nel 1987) è talmente profonda da rasentare la riscrittura vera e propria. In sostanza, ci vuole davvero orecchio per riuscire a discernere qualche frammento delle partiture “incriminate” dalle alchimie perfezionate dai due stregoni del mixer.

Parte l’“Intro”: umile, dimessa, un’oasi floreale di placida beatitudine da cui prende vita il “Bolero” poi adeguatamente smembrato nel minimalismo “reichiano” dei primi due movimenti, fra serpentine di fiati messi in loop che si aggrovigliano fra loro, comiche fanfare di trombe, flauti e fagotti timidi come liceali al primo giorno di scuola (gli Art Ensemble Of Chicago passati ai frippertronics?) in un replay ininterrotto dell’eternità.

La vertigine ritmica inizia a farsi strada già nel terzo movimento – passaggio all’astrazione, il venir meno dei segni riconoscibili a cui prima ci si aggrappava – per poi esplodere letteralmente nel quarto, dove Von Oswald prende le redini del gioco e ci conduce in un universo di bolle dub, radiazioni sotterranee, frequenze metastatiche, luce fredda di tastiere mai così acide: gli universi della Basic Channel che tornano a farci visita in tutto il loro splendore, signori. Da restare pietrificati, tanto che è necessario un interludio, neutro sfumare d’archi in ostinato, per ritrovare stabilità e ripristinare la temperatura dopo quest’inferno sottozero.

Gli ultimi due movimenti sembrano invece terreno esclusivo di Craig, e non è un caso che siano anche i più sinfonici e tempestosamente romantici del lotto, con i contrabbassi a imitare passi di giganti e la quartina discendente d’archi a fondersi ciclicamente con il beat in un affresco degno del più megalomane dei cavalieri kosmische tedeschi (ossia il Klaus Schulze di “X”). Nel finale il ritmo si fa’ addirittura trascinante (le congas impazzano), jazzy, rendendo così il sesto movimento un balletto disperatamente vitale, colmo di desiderio, profondamente “craighiano”. L’anima dell’uomo che ci parla. Un sorriso che a poco a poco si spegne, impercettibilmente.

Bisognerebbe ringraziarli, questi due signori, per aver concepito un disco di tale bellezza; ma anche per aver smentito i puristi con la puzza sotto il naso, dubbiosi circa una possibile convergenza fra entità così distanti (nel tempo, nello spazio) eppure qui fuse senza il benché minimo sentore d’artificiosità. E tutto con la semplice grazia del gesto, senza forzature. Un disco storico. Sì ok è del 2008, ma è già storia. 8 pieno.

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Voto degli utenti: 7,9/10 in media su 19 voti.

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REBBY (ha votato 9 questo disco) alle 16:58 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

Ci hanno gia' provato nel rock (es. ELP, New Trolls)

e alle mie orecchie hanno quasi sempre suonato ciofeche (forse perchè non c'era la benedizione di

Deutsche Grammophon). Però Loson ci dice che questo

album techno/classic (si può dire?)è un disco storico, quindi ci "toccherà" ascoltarlo (non

Matteo, ma il disco).

loson, autore, alle 20:17 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

RE:

Guarda, a differenza dei casi che citi - ossia di gente che, in sostanza, non ha fatto che trascrivere partiture classiche per organico rock - qui si usano frammenti (ribadisco: frammenti, alla stregua di samples) dei brani di Ravel e Mussorgsky come puro espediente per costruire una musica "nuova". Ecco perchè il disco rifugge dalla tamarraggine a cui si è soliti associare operazioni di questo tipo. D'altronde, se si fosse trattato di mera scopiazzatura o di "far suonare" musica classica come techno, sarei stato il primo a demolirlo. Per fortuna le cose sono andate diversamente... Opera è miliare e bellissima.

Baldaduke (ha votato 10 questo disco) alle 0:46 del 13 dicembre 2008 ha scritto:

E' uscito da un mese ed ha già abbattuto i muri eretti dal purismo della cultura "borghesotta" - come giustamente hai espresso tu - "con la puzza sotto il naso". Quella che si scandalizzava quando Jarrett suonava a La Scala e soprattutto quella alla quale prenderà una paralisi completa quando troverà sugli scaffali del reparto Grammophon questo disco.

Capolavoro assoluto.

TheManMachine alle 1:54 del 13 dicembre 2008 ha scritto:

Grande Loson!

Uau che figata Matteo, che proposta spettacolare! Dopo aver letto "Basic Channel" (di cui adoro "BCD") nella tua rece, sono andato ad ascoltarmi qualcosa di questo disco. Be' che dire, lo vedo già nella mia cd collection! El Losòn non sbaglia un colpo mai, i miei complimenti vivissimi!

Alessandro Pascale (ha votato 9 questo disco) alle 14:38 del 24 dicembre 2008 ha scritto:

fico forte

dopo rother pure questo. Uno più bello dell'altro davvero. Forse questo ha più carisma, più classe, piuù arte nel sangue. Davvero un disco incredibile, da ascoltare tutto d'un fiato. Ottimo Losi, al solito scrittura eccellente!

Marco_Biasio (ha votato 8 questo disco) alle 20:21 del 30 dicembre 2008 ha scritto:

Ma quindi questa è classificabile come techno? A me ha ricordato in certi frangenti l'IBM dei Boards Of Canada, in altri qualcosa di The Field, per la maggiore il minimalismo percussivo (e ossessivo) del maestro Reich, fra i miei preferiti di ogni tempo. Resta il fatto che il progetto è estremamente interessante, i musicisti molto famosi nel loro campo (da quanto intuisco) e altrettanto capaci, il disco davvero molto bello e scorrevole. Mi piacerebbe saperne qualcosa in più su questo genere, pian piano mi informerò. Bravo Matteo, comunque, e grazie per avermi fatto scoprire questo lavoro. Pezzo preferito: "Movement 4".

modulo_c (ha votato 10 questo disco) alle 23:13 del 8 gennaio 2009 ha scritto:

liscio come l'olio

una volta inserito in disco si potrebbe ascoltare in un loop senza fine. a me e' piaciuto molto, mi sembra un lavoro veramente equilibrato e raffinato, la musica classica non ne esce assolutamente minimizzata. Non esistono spigoli ne' cadute di stile, nessuna traccia riuscita meno bene. Li metto sul mio piedistallo assieme a Murcof. Fantastico.

target (ha votato 7 questo disco) alle 18:14 del 9 gennaio 2009 ha scritto:

Movimenti 4, 5 e 6 spettacolari, il resto meno, a tratti molto. Dove classica e techno ci incontrano in modo più evidente (e con cadenze giustamente "romantiche", citando il buon los) mi ricordano l'esperimento di Tennant/Lowe del 2005, ossia la colonna sonora di Battleship Potemkin con la Dresdner Sinfoniker. Da ascoltare. Forse l'unico momento dell'ultimo decennio in cui i Pet Shop Boys hanno anticipato qualcosa invece che inseguirlo.

REBBY (ha votato 9 questo disco) alle 8:30 del 22 gennaio 2009 ha scritto:

Veramente ottimo album di krautrock percussivo ed ossessivo degno erede della gloriosa tradizione

mitteleuropea (Ravel e Mussorgski si sentono

eccome). Lo dico ovviamente senza cognizione di

causa, ma se quest'album é parente di quello di Owens o è acquisito o ci son di mezzo delle corna.

loson, autore, alle 12:58 del 22 gennaio 2009 ha scritto:

RE:

REBBY, non è krautrock, è techno. La techno è (anche) questa. La house (deep house, per la precisione) di Owens è un'altra cosa ancora.

loson, autore, alle 13:00 del 22 gennaio 2009 ha scritto:

...e comunque mi fa piacere sia stato di tuo gradimento. Se ti piacciono queste sonorità buttati pure sugli album solisti di Craig o sulla raccolta pubblicata sotto lo pseudonimo 69, che sempre Craig è. Da lì vai alle "radici" di Detroit e il gioco è fatto.

REBBY (ha votato 9 questo disco) alle 12:39 del 23 gennaio 2009 ha scritto:

La deep house di Owen è un'altra cosa

Ah, volevo ben dire

REBBY (ha votato 9 questo disco) alle 12:45 del 23 gennaio 2009 ha scritto:

Non è krautrock è techno

Non lo metto in dubbio, volevo esprimere che questo album mi ricorda alcuni ascolti di musica

cosmica elettronica tedesca (Klaus Schulze, Tangerine Dream, Manuel Gottsching, ...).

L'album precedente di Craig invece non mi aveva colpito. Lo riascolterò magari, ma prima tocca a

Rother, che sarà diverso ancora immagino. Speriamo

solo non faccia tumtum per tutto il disco, altrimenti Gabriele vede (hahaha)

loson, autore, alle 13:37 del 23 gennaio 2009 ha scritto:

RE: Non è krautrock è techno

No vabbè, la kosmische music si sente, anche se poco poco. Gottsching moltissimo, ma considera che il suo "E2-E4" (che non è più krautrock, secondo me) è stato il prototipo su cui Juan Atkins modellerà la techno. La stessa Dusseldorf era vista come la Nuova Gerusalemme dai "technocrati" detroitiani. Di Craig devi ascoltare "More Songs About Food And Revolutionary Art", "The Sound Of Music" (usito sotto l'alias 69) e, leggermente sotto a questi due colossi, il più jazzato "Programmed" a nome Innerzone Orchestra.

modulo_c (ha votato 10 questo disco) alle 23:56 del 19 febbraio 2010 ha scritto:

dov'e' vertical ascent????

e il successivo "vertical ascent" dove lo mettiamo? quella meraviglia di oscillazione continua? possibile che non sia stato recensito in questa perla di sito??