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R Recensione

8/10

Plaid

Scintilli

Nel 2003 i Plaid completavano Spokes e chiudevano in bellezza una splendida tripletta cominciata con Rest Proof Clockwork e proseguita con Double Figure, guadagnandosi un proprio spazio definitivo nel continuum IDM e stabilendo la propria individualità rispetto alla formula nineties: non solo spigolosità techno-glitch, ma anche ambient dalla forte componente emotiva, un equilibrio che nei momenti culmine (vedi una Eyen finita tra i primi posti scelti dal pubblico per la raccolta Warp20, ma anche la gemella diversa Even Spring) staccava di netto il sound storicizzato di Autechre, Boards Of Canada e AFX. Da allora il duo londinese si è dedicato prevalentemente a progetti di commistione con la sfera visiva, con Greedy Baby insieme a Bob Jaroc e con le soundtrack di Tekkon Kinkreet e Heaven's Door.

Due anni di lavorazione e arriva finalmente il tanto annunciato Scintilli (i due hanno stimato circa un giorno di lavoro per ogni singolo campione dell'album), che rappresenta dunque il primo, vero lavoro di produzione 100% Plaid da otto anni a questa parte (eccezion fatta per alcuni singoli, tra i quali una bomba come Itsu a rispolverare, potenziandola, la jungle di Mbuki Mvuki). La ricerca del suono e la precisione del campione (le sintesi tribal di African Woods, i cristalli di corda orientale in Founded) sono solo alcuni dei punti di forza di un album che, pur mantenendo saldo e riconoscibile un genere storicizzato come l'IDM, ne aggiorna le formule per un presente che necessita di sensazioni più tagliate ed esplicite del "freddo calore" '90.

Scintilli mette in scena una dualità che alterna da una parte minimalismo new-age (vedi le esplorazioni etniche di At Last) e raffinatezza da camera (il minimalismo d'apertura di Missing), dall'altra buio dub ereditato dai noughties (il pessimismo postmoderno di Eye Robot o Sömnl) e spessore dritto in cassa (pur confermando le sacrosante doti ambientali, come in Unbank). Due lati che il sound dei Plaid ha sempre avuto, ma che vengono ulteriormente affinati da una nuova maturità che moltiplica le sensazioni d'ascolto. Una padronanza dei mezzi che spazia senza forzature tra pieghe cosmic (Upgrade), danze cerebrali (ancora Founded) e raffinatissime pause di ipnotismo rarefatto (Craft Nine o l'anticipata 35 Summers, glitch pizzicato da dentro una placenta purissima, reso ancora più suggestivo dalle immagini del video di Richie Burridge).

Sono ancora pienamente vivi e in continuo movimento, i Plaid, non si trincerano nella propria classicità ma nello stesso tempo non stravolgono l'efficacia del mood atteso: sono brani come Thank, Talk To Us o Tender Hooks a restituirci vent'anni di storia techno-ambient (la loro storia) dai meccanismi infallibili, a ristabilire la classe superiore della vecchia scuola senza che nessuno, nemmeno il più ispirato dei Four Tet, possa accennare obiezioni. Qualcuno la definisce "electronica per sentimentali" e non esiste artista che sappia incarnarla meglio di loro, ancor più che oggi è inserita in un perfetto equilibrio tra conservatorismo e coscienza del presente. Da loro, non volevamo altro.

V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 4 voti.
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keolce 7/10

C Commenti

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tramblogy alle 0:26 del 28 settembre 2011 ha scritto:

Bravi, e' bellissimo...

Le casse rumoreggiano , celestiale.

Copertina alto livello.

keolce (ha votato 7 questo disco) alle 17:41 del 29 settembre 2011 ha scritto:

Vabeh se tutto l'album fosse come "35 Summers" griderei al capolavoro e potrei morire felice.. e come ben dici tu, i Plaid si inseriscono ottimamente nel panorama moderno (a scapito dell'originalità). Non lo paragono ai lavori passati perché non mi è mai venuta voglia di approfondirli più di tanto, però qua ci sono pezzi veramente eccezionali. Su tutti, oltre a quello già citato, l'apertura alla Mercury Rev con quella voce bellissima che risentiamo nel gioiellino “Founded”. Anche il resto, tra momenti più alti, come in “Somnl” (degli Autechre accoltellati e affogati nel wobble),“Unbank” (ci sento i Crystal Castles, possibile?) o “Upgrade”, con il suo crescendo electroide intensissimo, e alcuni più bassi (i pezzi più electro/detroit “Thank” e “Talk To Us”) e un po' tamarroidi (“African Us” sembrano i Drexciya alla Baia Imperiale..). Ecco, un bell'ascolto, ma secondo me non reggerà gli ascolti (i miei eh..)