R Recensione

7/10

Chill Filtered

Manifesting The Vice

Il chiasso di una sala da cocktail apre il disco. Pochi secondi dopo una voce femminile canta alternandosi a una maschile, e si scambiano, su una base splendidamente campionata, promesse e sospiri, bugie e verità. È così, con questa “Hanging on at the telephone”, che si apre Manifesting The Vice, primo album dei Chill Filtered. Sembra di essere tornati nella Bristol degli anni ’90, il luogo dal quale i Portishead aprivano spazi onirici e sensuali attraverso la voce di Beth Gibbons che si elevava meravigliosa sopra loop e distorsioni, dando vita al trip-hop. Qui il canto non ha la stessa incredibile visceralità della Gibbons, ma Lucia Turchi sembra riuscire a raggiungerne almeno la sensualità, senza mai sbandare.

Christian Del Baldo le si alterna, e sembra dare al sound del gruppo un tono che allontana da Bristol, dai Portishead e dallo stesso trip-hop. Ma solo con la seguente “Answer” diventa chiaro verso dove voglia andare, con il suo tono malinconico a imporsi su quello della Turchi, che qui lo segue con echi e contro cori, e la direzione è quella del pop inconfondibile di Morrissey e dei suoi Smiths. Nemmeno lo splendido lamento di Lucia Turchi nel finale del brano è in grado di riaprire a quella sensuale atmosfera trip-hop. Tuttavia “The Jocker” riesce perfettamente a giocare su questi due piani, equilibrandoli in uno spazio musicale che si sposta verso il bristolsound più secco e dissestato di Tricky. Da sottolineare è il grande lavoro di Enrico Ripalti, polistrumentista della band al piano, aila chitarra, al basso, alla tastiera e all’arrangiamento della batteria.

“Welcome To The Vice” perde quasi totalmente l’atmosfera tipicamente bristoliana, ma ne acquista finalmente una propria, personale: con un piano insistente in sottofondo e la voce di Dal Baldo che si alza in delicati acuti, c’è un intenso sassofono che disegna divagazioni solitarie ed oniriche, riuscendo magistralmente a trasportare l’ascoltatore in un luogo dove sembra regnare un nuovo, esclusivo e profondo erotismo. “Down Times” ritrova l’insistente campionatore di Ripalti che detta un ritmo sostenuto alle voci dei due cantanti, le quali nel ritornello s’intrecciano, senza però mai esaltarsi. Ancora una bella prova di Dal Baldo in “The Way It Has To Be”, che arriva a distorcere la voce in un effetto metallico. Ma in questo brano, come anche altrove, s’intuisce la splendida voce di Lucia Turchi quasi ingabbiata e nemmeno la strofa, che canta dopo essersi limitata ad accompagnare con profondi sospiri, riesce a renderle giustizia.

Con la seguente “Love Is Black” è finalmente chiaro che l’ascoltatore deve dimenticare ogni somiglianza con i Portishead: la Turchi canta senza esaltazioni e senza slanci di sensualità, sembra non volersi sbilanciare, non rischiare mai al modo in cui invece fa Dal Baldo. Ma è chiaro: per quanto intensa e pulita possa risultare la sua voce, l’effetto di erotica sensualità degno del trip-hop più torbido pare sfuggire senza il sostegno d'una voce femminile. Questo lo hanno capito tanto i Massive Attack quanto Tricky, e anche i Chill Filtered lo intuiscono, ma sembrano non riuscire mai a bissare lo splendido slancio del brano iniziale. Non riescono in questo intento neppure le finali “Mickey The Good” e “The Pro-Generation”, nelle quali Lucia Turchi dà ancora l’impressione di volersi nascondere dietro quella di Dal Baldo, con semplici cori, echi e contro cori.

Nemmeno la splendida atmosfera che si era creata in “Welcome To The Vice” si ripete: il sassofono, così come magicamente era apparso, magicamente scompare, portando via con se tutti i sogni di cui aveva abbozzato la trama. C’è sempre stata l’impressione che il trip-hop ci avesse lasciati sul più bello, come un’amante tra le coperte di un letto mai sfatto, come un sospiro sensuale ammutolito sull’ultimo gemito, quello necessario per usufruire del suo erotico invito all’amplesso. Per questo c’è sempre una strana e inconscia speranza di ritrovarlo, se non al meglio delle sue possibilità, almeno nella sua più pura essenza, sparsa in qualche luogo, in qualche melodia. L’inizio meraviglioso di Manifesting The Vice alimenta questa illusione, ma tradendola con il passare dei brani, alla lunga delude l’ascoltatore. Eppure se dimenticassimo questa illusione, rimarrebbe un buon album, musicalmente costruito su buone basi d'atmosfera, ma con spunti e tentativi di divagazioni del tutto propri. Welcome To The Vice imprime l’impressione di essere un album di passaggio, in un cammino che va dalla sensualità già conosciuta del marchio sonoro di Bristol a una sua nuova essenza, attraverso un nuovo piacere erotico dell’ascolto.

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Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 4 voti.
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redska 10/10

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