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R Recensione

7/10

Nedry

In a Dim Light

"In a Dim Light" inizia proprio come annuncia il suo titolo: una musica che esce dall’oscurità, lenta come una luce debole che si fa spazio attraverso l’ombra e cresce inarrestabile sugli acuti soffiati di una voce femminile che riflette sulla propria esistenza, su tutte le volte che si è trovata in quel buio e tutte le volte che ne è uscita.

Il primo brano, "I Would Rather Explode", sintetizza meravigliosamente le intenzioni sonore dei Nedry: questo trio, facendo andata e ritorno tra l’Inghilterra e il Giappone, parte da Londra, dalla quale assorbe l’ambientazione, si sposta ad Osaka, dove raccoglie l’appassionata malinconia della voce di Ayu Okakita , e approda a Bristol, dove s’arricchisce di quell’influenza trip-hop che carica l’album di sensualità. È il trip-hop ancora ruvido dei primi Massive Attack che nella voce sussurrata di Okakita diventa un gioco erotico appeso tra la voglia d’innocenza e il basso istinto di violarla: tra le pulsazioni e i ritmi spesso serrati dei bassi e del synth, una voce sensuale si muove tra il calore sensuale di Cat Power e l’infantile glacialità di Bjork, dilatando la musica come si dilata il tempo all’interno del sogno o nel prolungamento estatico del piacere erotico. A volte, come in "Post Six", la voce sembra seguire a fatica i ritmi imposti dalla base dub e si ha la percezione di una disarmonia tra Okakita e il resto del gruppo, ma piuttosto che la sgradevole sensazione di qualcosa di non riuscito, il brano rivela all’ascoltatore un movimento instabile, un rincorrersi di suoni come di corpi in quel momento di eccitazione dove gli amanti cercano di intrecciare le loro carnalità.

Con "Violaceae" il suono del basso si appesantisce, ma gli effetti dilatano l’atmosfera alleggerendola in uno scrosciare meraviglioso di pioggia, al disopra della quale la voce diventa un sospiro sognante che si lascia sostenere da un’impercettibile eco maschile e profonda, qualcosa che riporta alla grave leggiadria creata da Isobel Campbel e Mark Lanegan. In "Havana Nights" la voce si duplica, come riuscisse a discernere la propria sonorità conscia da quella inconscia, come arrivasse a distinguere le parole dai lamenti, dai gemiti, mentre la musica scivola dall’ossessione metropolitana alla quiete di un tempio zen profanato dalla passione erotica. "Dusk Till Dawn" è il trionfo di questa passione: in uno slancio che ricorda la Cat Power di "Metal Heart", la voce di Ayu Okakita si arrampica in acuti sussurrati che arrivano a colpire direttamente la pelle dell’ascoltatore facendola rabbrividire, per poi penetrarla attraverso quello sforzo straordinario in cui la gola gratta se stessa producendo un grido meravigliosamente strozzato.

"In a Dim Light "scorre lineare da qui fino all’ultimo brano, giocando su questo connubio inedito tra musica e voce nel quale a volte, come in "Here now here", anche quest’ultima cede la sua purezza all’artificialità di effetti dub come il loop. È proprio il brano finale "Home" a dare il segno distintivo del ciclo internazionale (Londra-Osaka-Bristol) dei Nedry. Qui Ayu Okakita modula sospiri e parole alternando l’inglese, adottato lungo tutto l’album, alla sua lingua originaria, il giapponese, e l’effetto è lo stesso prodotto da tutto "In a Dim Light": un incredibile e perfetto esercizio di limatura della naturale disarmonia sonora, come quella di due lingue e paesi lontanissimi, così quella di due interpretazioni musicali differenti e, fino ad ora, inconciliabili.

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