maudlin of the Well
Part The Second
Enormemente facile fare il critico musicale, oggi. Dischi di cui si hanno già un sacco di riferimenti (se è vero che nulla nasce, nulla muore, tutto si trasforma), miliardi di side project, la possibilità di comprare una testata specialistica dietro laltra ma, soprattutto, Internet. Come diamine facevano Lester Bangs e compagnia assortita, ai loro tempi, ad avere una così stretta rete di conoscenze, pur sopperendo in qualche maniera alla mancanza di mezzi telematici? Altri tempi, altro approccio alla musica, sia da parte dei gestori, che dai produttori, che dai fruitori. Tutto molto più spartano, casareccio ma, per assurdo, migliore e più selezionato. Il troppo - troppe fonti, troppi gruppi, troppe applicazioni , alla fin fine, disorienta.
Ora rovesciate la medaglia e mettetevi nei panni del sottoscritto, uno dei tantissimi che per diletto si applica nello scrivere (male) dei dischi che ascolta. Voi non avete idea del triplo salto mortale che ho fatto quando, girovagando qua e là per il fulgente mondo del Web, sono capitato sulla pagina principale dei maudlin of the Well. Tra le migliori band metal di sempre, proprio per non essere mai stati metal. Ossimoro? Affatto: solamente un oceano di creatività (diciamo Panthalassa?). Scioltisi nel 2003. Ma comè, allora, che Toby Driver, ex frontman della band, ha scritto qualcosa di nuovo e, come se non bastasse, ha pure piazzato un link in bella vista da dove scaricare, gratuitamente ed in piena legalità, un loro nuovo lavoro? Non si è letto male: Part The Second è proprio un disco dei motW e, per la precisione, una serie di reinterpretazioni di alcuni loro brani storici, secondo criteri di improvvisazione totalmente innovativi. Sottolineo: realizzato in piena autoproduzione, grazie ai contributi dei fan. Apriti cielo. Che abbiano capito che i Kayo Dot sono una totale perdita di tempo? Frecciatine che passano in secondo piano: sono tornati. E questo basta, almeno per me.
Ora, tirando un sospiro profondo per risistemare le idee al proprio posto, sarebbe più semplice identificare cosa non cè, in questi cinque brani, piuttosto di quello che cè. Lho detto appena sopra, lo ripeto: i maudlin of the Well non sono un gruppo metal. Qui, poi, meno che mai. Anzi, se dovessimo escludere a priori due verbi dalla descrizione, sarebbero proprio martellare e velocizzare. Tre quarti dora in cui i membri del collettivo si prendono tutto il tempo necessario per plasmare, quasi dal nulla, un vero e proprio itinerario cosmico (riuscireste a capire che sono pezzi vecchi, se non ve lavessi detto e, meglio ancora, se non ce lavessero detto loro?). Dal power trio alla tromba, dal clarinetto agli archi, dal sax alle voci a cappella, in una micro orchestra sintonizzata nellIperuranio, Part The Second può essere letto step by step oppure, consigliabile per i più navigati, come un unico blocco sonoro che trova la sua robustezza dintenti nellessere monolitico.
Excerpt From 6,000,000,000,000 Miles Before The First, Or, The Revisitation Of The Blue Ghost (che riprende The Blue Ghost / Shedding Qliphoth del meraviglioso Bath) si apre su un andante fusion in tempi dispari per chitarra funk e svolazzi violinistici, dove il cantato fluisce a blocchi, quasi a seconda degli incastri che gli arpeggi acustici ed elettrici formano tra di loro, per poi crescere in maniera progressiva e toccare solo con un dito il tumulto che tanto ci si aspetterebbe, lasciandoci ad un palmo da terra sulla ringhiera interstellare di un assolo cronologicamente inossidabile... Another Excerpt: Keep Light Near You, Even When Dying è, stranamente, quasi meglio, con archetti, vibrafono e pianoforte a tinteggiare trame di grande drammaticità, sulle quali la chitarra volteggia prima con infuocato ardore, poi con aromi jazzati e vagamente spanish costellati di handclappin. Rose Quartz Turning To Glass comincia a mostrare i primi segni di squilibrio, grazie a percussioni etniche installate su di una base quasi neoclassica (e se pensate che sia solo per esagerare, vi state seriamente sbagliando!), salvo poi aprirsi ad una parentesi vocale che, per atmosfera e risultati, ricorda gli stacchi acustici degli Opeth.
Clover Garland Island è un tuffo nel buio, ad occhi chiusi e naso tappato: dissonanze, 7/4, corollari avantgarde e coda dark-ambient con risalita blues. Vi pare troppo? Il meglio deve ancora arrivare: Laboratories Of The Invisible World (Rollerskating The Cosmic Palmistric Postborder) si concede alla storia come una delle perle più fulgide dei maudlin of the Well. Acustico, elettrico, jazz, vertigini elettroniche, falsetto, vocoder e, finalmente, un mormorio hard che ne anima lo scheletro da cima a fondo ed aleggia anche nei frangenti più placidi. Per provare a tutti i costi a fare lannovero delle somiglianze, qualcuno potrebbe citare gli UneXpect, ma fortunatamente il metodo adottato dai Nostri non ha nulla a che vedere con la frammentazione singola degli episodi dei compagni. Nota a piè pagina: non è mai comparso il growl.
Ma come poter davvero, con efficacia, descrivere musica del genere? Dicono che i motW suonino astral metal. Che le loro siano vere e proprie esperienze extracorporee, nelle quali il suono, poi fissato su disco, venga trovato. Come gli animali rari. Onestamente, nulla so a riguardo e nemmeno mi interessa. Quello che conta davvero è questo.
Se solo Lester Bangs avesse potuto conoscerli...
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