Mayhem
De Mysteriis Dom Sathanas
Premetto subito col dire che non sono mai stato un particolare fan del black metal, a parte un breve periodo durante il quale ho approfondito un po’ il filone (ah, i cari vecchi 16 anni!). Tralasciando le consuete critiche ideologiche che spesso si muovono contro il genere (molti gruppi sono stati infatti accusati di inneggiamento al nazi-satanismo, evidente il tal senso è il caso di Burzum), non ho mai apprezzato il modo di suonare tipico di molte band dedite a questo sottogenere di metal. Canzoni spesso troppo uguali a loro stesse, riff ripetuti fino alla nausea, registrazioni molto spesso confuse ed approssimative (spesso quasi al limite dell’amatoriale) e un growl gracchiante e fastidioso per nulla satanico o malefico come vorrebbe e dovrebbe essere in teoria.
Tuttavia, di fronte ad un disco come “De Mysteriis Dom Sathanas” quasi tutti questi pregiudizi non possono fare altro che crollare, visto che siamo di fronte ad uno degli episodi più cruenti, oscuri, nonché importanti per la storia della musica estrema. Inutile dire che i norvegesi Mayhem sono stati (e sono tutt’ora) esponenti di punta del movimento black metal, sviluppatosi appunto nel nord Europa e che del quale si individuano generalmente due ondate: la prima, quella degli anni ’80, più grezza e legata alle radici thrash e heavy (pensate a gruppi come i Bathory o i Venom, tanto per intenderci), mentre la seconda si sviluppa a partire dalla decade successiva, quando sulla scena musicale cominciano ad affacciarsi nomi del calibro di Immortal, Burzum, Darkthrone, Marduk e, per l’appunto, i Mayhem.
È appunto nei primi anni ’90 che, grazie agli esordi dei gruppi sopramenzionati (“Diabolical Fullmoon Mysticism”, “A Blaze in the Northern Sky”, l’omonimo di Burzum e via discorrendo) che il black metal comincia a prendere forma nella maniera in cui la conosciamo oggi, ma è proprio grazie a “De Mysteriis Dom Sathanas” (1994) che il genere arriva al grande pubblico, portando il gruppo alla definitiva consacrazione e all’entrata nella storia della musica estrema.
E bisogna dire che pochi dischi vantano il fascino malato, cupo e realmente infernale di questo lavoro. Aggettivi che spesso si sprecano quando si recensiscono dischi di questo genere (che di malato, cupo e infernale hanno solo la copertina, talvolta nemmeno quella), ma qui le cose stanno diversamente, trattandosi di un vero e proprio classico imitato da legioni e legioni di gruppetti che tentano di emulare quest’album ma senza averne la stessa carica espressiva.
8 tracce che seguono più o meno lo stesso canovaccio presentato dalla traccia d’apertura “Funeral Fog”, che non lascia respiro sin dai primi secondi: si viene catapultati immediatamente in un vero e proprio inferno sonoro, angosciante e privo di luce. La batteria, velocissima, accompagna dei riff taglienti e gelidi. L’esecuzione è frenetica ma precisa, e le note si susseguono in maniera torrenziale, come un fiume in piena, pronto a straripare. Su tutto si staglia la voce di Attila Csihar, storico leader dei Mayhem, che è di difficile definizione: non è né un growl, né uno screaming, né un pulito! Il cantato pare più un rantolo soffocato, sommesso, sofferto, che esplode in brevi e catacombali urli per poi tornare a “sussurrare” in maniera incomprensibile e discontinua. Il che, di norma, lascia perplessa la maggior parte degli ascoltatori di metal medi, abituati come sono a sentire gli acuti tipici dell’heavy metal, gli urli potenti del thrash o i growl tipici del death metal. Secondo il modesto parere di chi scrive, invece, questa maniera di cantare così fuori dagli schemi si rivela efficace e si sposa benissimo con il tipo di musica prodotta, diventando una caratteristica peculiare del disco.
Il resto delle tracce si sposta più o meno sullo stesso sentiero del brano appena descritto, tra brusche accelerazioni thrash, sfuriate grind e rallentamenti al limite di certo doom funereo e sepolcrale. Difficile però, forse impossibile, dire quali tracce si elevino rispetto alle altre, poiché tutte si mantengono a livelli altissimi mai più raggiunti dalla band; semplicemente perché il senso di oppressione, morte, disagio ed angoscia che emanano queste composizioni è difficilmente raggiungibile per chiunque. E non è un caso che brani come la title-track, “Freezing Moon” e “Life Eternal” siano diventati dei veri e propri classici del gruppo, inni di battaglia che ancora adesso, a distanza di 16 anni, vengono proposti ai concerti dei Mayhem riscuotendo sempre un successo immediato da parte dei propri fan.
In conclusione, “De Mysteriis Dom Sathanas” è un disco obbligatorio per ogni amante del metal che si possa definire tale, in quanto ha gettato le basi di un nuovo modo d’intendere la musica pesante. L’album ideale per dare libero sfogo alla propria rabbia repressa o per scaricare lo stress e la tensione, la colonna sonora giusta per dare voce a quelle pulsioni primitive e barbare che, in fondo, sono parte di ciascuno di noi.
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