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R Recensione

7/10

Gigan

Quasi-Hallucinogenic Sonic Landscapes

Del volto oscuro degli Stati Uniti. Se il maggior Paese esportatore di democrazia, since 1776, abbia anche un’immagine piana e splendente non è provocazione che, in questo momento, ci interessa particolarmente. Preme, invece, sottolineare come il germe della degenerazione sonora metallica a stelle e strisce, nascosto tra le pieghe di sembianze anch’esse ripulite ed accomodanti, abbia sempre attecchito ad intervalli di tempo regolari, aiutando a costruire tutta una scuola di pensiero, suono ed attitudine che, a partire dai Big Four in avanti, si è caratterizzata, strada facendo, per una padronanza sempre più accentuata dei propri mezzi ed una calibrazione relativa delle rispettive ambizioni, idealmente rispecchiate in un crossover sfrontato e aperto ad una maggiore oscurità, pesantezza ed estremizzazione. Spuntati fuori dal nulla, come spesso simile casistica conferma, con “The Order Of The False Eye” i Gigan avevano lanciato, arrembaggio ed avviso insieme, un messaggio per il rinnovo delle fondamenta del math-core e per un suo utilizzo in chiave globalizzante: ossia, ripartire da una musica cerebrale, ostica ed urticante per farla divenire pietra d’angolo di tutto un insieme ulteriore di incidenze, contaminazioni, esperimenti, fonderla nella psichedelia senza mutare di una virgola l’impatto fisico, deformarla con la forza dell’elettricità e dell’alterazione chimica. Per certi versi un disco importante, privo però di adeguato appoggio e seguito esterno.

 

La botta di “Quasi-Hallucinogenic Sonic Landscapes” fa venire in mente – ed è curioso pensarlo, viste le poche affinità tra i due gruppi – il coraggio pionieristico dei Nile che, già nel 2002, scelsero una strada tanto impervia quanto pericolosa, l’incompromissibile sentiero del brutal death metal, per manipolare arditamente strumenti provenienti da una tradizione musicale sconosciuta prima d’ora e, almeno teoricamente, totalmente incompatibile con i teoremi di partenza. Nacque, invece, “In Their Darkened Shrines”, inesplicabile fusione di orrorifiche distorsioni e melodie egizie, folk tribale e devastanti sassate gutturali. I Gigan seguono la medesima linea d’onda, spostando il loro baricentro verso una composizione ancora più abrasiva ed intrinsecamente monolitica (se non siamo dentro il brutal, stiamo comunque lambendone molto da vicino i confini), cercando tuttavia di aprire un varco verso una nuova forma di heavy-psych, interamente imperniata sulla forza creativa ed immaginifica della chitarra di Eric Hersemann.

 

L’azzardo monumentale non può dirsi perfettamente compiuto, complice l’inevitabile staticità che un sottogenere così violento e tecnico, a lungo andare, comporta (il songwriting dissonante di “Vespelmadeen Terror”, pur nelle sue contorsioni progressive e nell’utilizzo del vocoder, è relativamente classico, così come il massacro telefonato e triggerato di “Skeletons Of Steal, Timber And Blackened Granit”). Quando il colpo va interamente a segno, però, i risultati appaiono stupefacenti ed in progressivo divenire. L’ascolto, indispensabile sottolinearlo, non è mai facile, nemmeno per i più allenati: la strumentazione tende spesso all’accumulo, in un parossismo di volume e impatto, lasciando tracce secondarie, quasi subliminali, di una contemporanea, sincronica, alternativa rilettura del materiale. Mancano del tutto appigli melodici in grado di spezzare, per quanto in maniera minima, la continua pressione ed il fisiologico disorientamento a cui espone il disco: il segreto della decrittazione è nascosto tra le mura dirompenti costruite dallo stesso quartetto. “Transmogrification Into Bio-Luminoid” è, senza dubbio alcuno, il punto più alto di spossessamento fisico da loro coordinato, il crocevia in cui il death viene passato ai raggi x, trasformato sulla scia di ciclopiche esplorazioni interstellari – mai sentita una “melodia” cosmica incisiva a tal punto da trasfigurare completamente il senso del brano – e rigettato fuori in vampe ardenti, anfetaminiche, fumose: un nirvana space che ingloba – e viene fatto a pezzi da – un mostro metallico mutante.

 

Certi avvenimenti non si ripetono solo nei cartoni animati, sembrano suggerirci i Gigan. La difficoltà della proposta, forse l’intuizione generale che viene colta dietro, è tale che “Quasi-Hallucinogenic Sonic Landscapes” rischia di essere l’ennesimo gradino di evoluzione ed ibridazione di cui tutti parlano, ma che nessuno ha il coraggio di ascoltare. Un vero peccato, perché ovunque si colgono idee, frammenti, textures su cui si potrebbero sviluppare interessanti dibattiti. Come, ad esempio, il rifferama matematico di “The Raven And The Crow” esploda in convulsi fraseggi noise, non ricomponendosi mai in maniera perfettamente simmetrica. Come la bomba al napalm di “The Fathomless Echoes Of Eternities Imagination” oscilli in perenne tensione, tenuta in sospensione da un micidiale pendolo funk in avvitamento, che degenera irrimediabilmente in una colata cementizia di fuzz e feedback. Come “Mountains Perched Like Beasts Awaiting The Attack” eviti abilmente il rischio della confusione sonora definitiva, mediante l’utilizzo tipicamente hardcore degli stop&go, svuotati di ogni propulsione cinetica e saturati di psichedelia mefistofelica, dissonante, massiccia.

Da buon compagno di viaggio, “Quasi-Hallucinogenic Sonic Landscapes” abbina a delle esigenti richieste uno smisurato ritorno. A voi cogliere il frutto imperfetto e farlo maturare al massimo delle sue possibilità.

 

 

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Noi! 8/10

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