Ulcerate
Stare Into Death And Be Still
Difficilmente, in una futura retrospettiva, verrà derubricata come uno dei momenti fondamentali di ciò che rimane del metal evoluto del Nuovo Millennio. Eppure, nel suo, luscita di Shrines Of Paralysis (2016) segnò un importante cambio di passo per gli Ulcerate: fisiologicamente esauritasi (o quasi) la spinta pionieristica che aveva alimentato unesplorazione pluriennale negli eccitanti territori vergini allintersezione fra brutal death e post metal, il power trio neozelandese guidato dallincredibile batterista Jamie Saint Merat decise di cominciare ad introdurre delle nuove variabili nei dettagli strutturali, uninedita e rinnovata attenzione verso un formato canzone sui generis che, al ctonio movimento centrifugo di accelerazioni e dissonanze, abbinasse il tentativo centripeto di riordinare la scrittura attorno a vere e proprie frasi melodiche. Che non fosse allora una deviazione estemporanea ma, piuttosto, la prima fase di un progetto sulla lunga distanza lo testimonia, oggi, il sesto Stare Into Death And Be Still, prima uscita per la francese Debemur Morti dopo la scadenza di contratto con Relapse ed ennesimo, rigoroso saggio di maestria tecnica nel reame dellestremo.
Il miglior modo per descrivere le composizioni di Stare Into Death And Be Still è quello di ascoltare con estrema attenzione il primo minuto delliniziale The Lifeless Advance: la chitarra di Michael Hoggard è uno scalpello setolato che disegna unarmonia di epico decadentismo, una sequenza complessa che possiede al contempo la durezza dellacciaio e la visione panoramica della sinfonia. Si scatena poi lassalto, ma le modalità sono marcatamente diverse rispetto al recente passato: si lavora di carico e scarico, di affondo e rilascio, articolando lo storytelling su quelle che, con non troppa fantasia, si potrebbero definire vere e proprie strofe. Il finale, poi, è allaltezza dei momenti più esaltanti dellinsuperato capolavoro The Destroyers Of All (2011): una Medusa géricaultiana alla deriva sotto i colpi poliritmici del sempre imprevedibile Saint Merat. La tendenza si accentua ulteriormente nei due momenti della tracklist immediatamente successivi: Exhale The Ash intaglia ghirigori wagneriani dentro quella che sembrerebbe unefficace sintesi del primo decennio dei Neurosis, disintegrando poi laffresco dellorrore ottenuto con una sincopata sequenza chitarristica acid-black, un claustrofobico attacco frontale rimpallato dagli accenti jazz dei tamburi; la title track, infine, specialmente nella lunga ed elaborata ouverture e in una chiusura votata ad un inesorabile crescendo, presenta una delle evoluzioni melodiche più emozionanti dellintero disco, un seascape ajvazovskijano che si direbbe svilupparsi allombra della Lacrimosa mozartiana.
Esigente come tutte le prove lunghe degli Ulcerate, ma dal carattere incomparabilmente meno selettivo rispetto ai capitoli precedenti, Stare Into Death And Be Still ha dalla sua un ulteriore pregio: quello di non suonare come un indivisibile atomo marmoreo ma, anzi, di rivendicare la propria natura di Gestalt, di corpo le cui parti siano dotate di unassoluta autonomia. Leffetto sorpresa viene inevitabilmente meno (unica eccezione, linquietante blackened di Visceral Ends, che riecheggia in una twilight zone post punk di ammorbante oscurità), ma è lunico scotto da pagare per il disco più strutturato dei neozelandesi: un racconto lungo che quasi mai soffre di cali di tensione. Un occhio di riguardo va al gran finale: tra le esplosioni che divampano improvvise nei sottovuoti ambientali di Drawn Into The Next Void e che, in coda, ricreano in scala linferno di Écoust-Saint-Mein e la tremolante apocalisse di Dissolved Orders (forse il brano più consono ai tempi oscuri in cui ci troviamo immersi), la sensazione è che si sia raggiunto nuovamente un punto di non ritorno e che sia difficile, per non dire impossibile, riuscire a fare di meglio.
Almeno sino alla prossima prova, sintende.
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