Bushi
Bushi
Novanta spade per gli anni 90: una per trafiggerli, laltra per smussarli, la terza per riflettercisi dentro. Estetica da samurai e concisione da manuale: i Bushi irrompono sulle scene con un curioso, omonimo lavoro lungo (si fa per dire: nemmeno mezzora) difficile da incasellare nel flusso e riflusso di scene e correnti individuabili in quella dentellata dolina che è lunderground italiano. Quattro i nomi provocatoriamente citati dal power trio per sintetizzare il proprio stile: Meshuggah, Primus, Beach Boys e Animal Collective il che, in primo luogo, significa: complessità, estro ludico, concretezza melodica e tensioni cerebrali. Se il risultato finale deve considerarsi il tentativo di ristabilire un crossover totale, ben venga: perché questo, in definitiva, è quello che suonano Alessandro Vagnoni (Bologna Violenta), Davide Scode e Matteo Sideri (Ronin, Above The Tree And the E-Side, qui nellinedita veste di voce principale).
La cosa migliore del disco è ladozione di tecniche e linguaggi non esattamente popolari allinterno di un discorso globale che riesce ad essere facilmente assimilabile da tutti. Gli otto pezzi, tutti relativamente brevi (nessuno oltre i quattro minuti) e costruiti a strati (vi sorprenderete a tenere il conto dei cambi di ritmo e di passo), sono infatti assemblati in modo tale da arrivare subito, senza traccia di filtri o sovrastrutture: così il rifferama sincopato di The Book Of Five Rings (tra hard rock e groove metal, con un finale in slow motion preceduto da brevi sezioni post-core), lo stacco quasi Refused del chorus di Hidden In Leaves, il j-stoner funambolico di The Cherry Tree. Tutto, o quasi, si sviluppa e cresce attorno alle chitarre di Vagnoni che, per non essere un chitarrista, ha un ottima mano: un azzardo che paga quando la scrittura è allaltezza della situazione (bella lintricata frase portante à la Faith No More di Rolling Heads, in manifesta dissonanza con la conduzione vocale), ma che diventa un rischio concreto quando lambizione non è allaltezza del risultato (il tentativo di epica tellurica di Typhoons crea uno sgradevole effetto da jingle) o quando lo spunto di partenza viene stirato oltre ogni limite (le fanfare di A Well-Aimed Blow Of Naginata).
Più in generale, si ha limpressione cementata dagli ascolti che Bushi, più che un autografo vero e proprio, sia un tentativo di autografo, unincompiuta per vedere leffetto che fa. Ci sono passione e competenza, ma il disco complice anche una produzione fin troppo bombastica, fuori luogo non decolla mai veramente. Peccato.
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