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R Recensione

7/10

Fluxus

Vita In Un Pacifico Nuovo Mondo

Il rock italiano del 1994, secondo l’umile e pertanto opinabilissimo parere di chi scrive, può essere felicemente riassunto in tre dischi: tre vertici dello stesso triangolo, tre modi di interpretare stimoli ed istanze provenienti dall’estero, tre prospettive da cui guardare al futuro. Curiosamente, ma non troppo, si tratta di tre debutti. Uno, naturalmente, è il “Catartica” dei Marlene Kuntz, punta di diamante dell’alt rock american-tricolore. L’altro è il colossale ed insuperato s/t dei R.S.U., una delle poche band ahinoi non ancora interessata dall’imperante revival che – senza mettere in atto una benché minima strategia di scrematura qualitativa – resuscita periodicamente orrori e capolavori dei decenni passati. Il terzo, infine, che ironicamente propone un accostamento tra la sagoma di un gargantuesco valvolare e una tagline estratta da un opuscolo dei Testimoni di Geova, segna il roboante esordio di un promettente sestetto torinese, svezzato all’ombra della Mole e fiero rappresentante dei suoi anfratti più oscuri: i Fluxus.

L’aneddotica tramanda erroneamente, ormai da decenni, la vulgata secondo cui i Fluxus si sarebbero formati direttamente dalle ceneri dei Negazione, storico nume tutelare dell’hardcore italiano, la cui attività discografica e concertistica aveva subito una battuta d’arresto nei primi anni ‘90. Questa convinzione è ragionevolmente rafforzata da due circostanze. La prima, e più importante, è la presenza, a chitarra e basso, di Roberto “Tax” Farano e del grande Marco Mathieu (a cui, per inciso, facciamo tutti i nostri migliori e più calorosi auguri) nella line up che darà vita, nel 1996, a “Non Esistere”. La seconda è il fatto che Simone Cinotto, già chitarra dei Nerorgasmo e dei coevi Blue Vomit, suoni sia in questo “Vita In Un Pacifico Nuovo Mondo” sia, soprattutto, nel capitale “Pura Lana Vergine” (1998): una contingenza che – data la vicinanza, supposta o reale, delle band che formavano la variegata scena dell’hardcore torinese – ha sicuramente spinto più di qualcuno a gettare tutto nello stesso calderone. La realtà è diversa e più complessa: se il cantante e bandleader Franz Goria (chitarra aggiuntiva a partire da “Non Esistere”) è un giovane punk attirato in egual misura dai Pixies, dai Ministry e dalla bossa nova (un pallino, questo della musica brasiliana, su avremo modo di tornare più volte nel corso del nostro viaggio), gli altri quattro membri compensano la sua irruenza con un background – di musica suonata e scritta – più maturo. Lo storico bassista, Luca Pastore, aveva all’epoca già realizzato l’EP “Any Colour You Like” (1985) con le stelline della dark wave ottantiana Chroma Gain: il secondo chitarrista Adriano Cresto e il batterista Roberto Rabellino, invece, avevano militato in gruppi post punknew wave di minore importanza (Changing Club, Not Moving, quei Politburo da cui proviene anche il terzo chitarrista Roberto Novero). Questo tetris di influenze è fondamentale per capire la nascita e l’evoluzione del peculiare suono Fluxus, una compenetrazione di stili tra le più coraggiose nell’heavy italiano di tutti i tempi, che non è possibile ridurre solamente a quell’impenetrabile muro di suono magnificato nella seconda metà degli anni ’90.

Vita In Un Pacifico Nuovo Mondo”, pur nelle sue giovanili e perdonabilissime acerbità (come il fluviale spoken word noise della title track, ancora traballante nella struttura lirica), presenta la band in forma smagliante. Del quadrittico precedente al recentissimo “Non Si Sa Dove Mettersi”, l’esordio dei Fluxus è quello in cui più tangibile si avvertono le suggestioni del crossover novantiano, qui declinato tuttavia in forme ben più abrasive di quelle che avrebbero potuto trovare posto in un disco dei Ritmo Tribale (questo a dispetto di un divertente articolo della Repubblica di allora, che ne denuncia una assai labile filiazione grunge). Il seghettato funk metal à la Snot di “Sabbia” è, ad esempio, una tipologia di brano che nella discografia del quartetto rappresenta un unicum, circoscritto nello spaziotempo e legato ad una determinata congiuntura: altrettanto straniante, con il senno del poi, è l’inarrestabile groove di basso, quasi RATM, su cui si innesta la furia hardcore di “Logica Di Possesso”, il pezzo più rapido di un lotto che all’accelerazione preferisce ancora di molto il passo cadenzato (“Non ci rimane che sognare / Un altro tempo, un’altra fine / Non possiamo continuare a possedere / Sempre di più”: quant’è vero che certe cose non cambiano mai). Il situazionismo politico – attivo, belligerante, schierato, come dimostra il canto partigiano campionato in testa al mammoth heavy di “O.C.” – permea già ogni fibra del primo Goria: e in molti frangenti lucidissimi, d’altro canto, sono i testi a cui presta la voce, a partire da quello del deragliante panzer stoner-core – firmato da Luca Pastore – de “Il Tuo Nemico” (“È questo che resta, paura?”, urlato a volumi crescenti, preludio alla filippica dell’avvocato Agnelli contro il poco produttivo rinnovo del contratto dei metalmeccanici).

Tre sono le canzoni che, in particolare, preconizzano il radioso avvenire dei Fluxus. La mannaia post-grunge dell’iniziale “Cosa Hai Visto Fino Ad Ora”, dove l’accordatura di un’orchestra incontra un carnaio di distorsioni, esalta il lato più monocromo e sabbathiano dei Soundgarden di “Superunknown”. “Pelle”, nel cui riff portante si specchiano Melvins ed Helmet, si avviluppa in un delirante vortice noise, una valanga di suono ribollente che esplode dagli amplificatori e satura tutto lo spazio disponibile (effetto davvero impressionante). Infine, le affilatissime chitarre crimsoniane di “7/8” (riferimento affatto casuale, come dimostrerà il successivo “Non Esistere”), proiettano su di una narrazione palpitante ed ansiogena un raffinato dramma post-core, prova evidente delle abilità tecniche del gruppo.  

I Fluxus, grazie anche al buon successo commerciale ottenuto dal disco, avranno modo di girare l’Italia dal vivo, ottenendo ottimi riscontri. Fu poi un insieme fortuito e fortunato di incontri a determinare il primo cambiamento degli equilibri interni, fino a determinare il temporaneo assetto di “Non Esistere”. Una fase della formazione, appena inaugurata, si stava già per chiudere.

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