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R Recensione

6/10

Philm

Fire From The Evening Sun

Sentire il profluvio di accostamenti tra i Philm e il cosiddetto “metal evoluto” spinge a riconsiderare velocemente le seguenti ipotesi:

a) proprio non so cosa si intenda per “metal evoluto

b) l’equazione Dave Lombardo = batterista degli Slayer è così radicata e dura a morire che qualsiasi sua attività esulante dal suddetto tracciato rassomiglia ad un capolavoro d’avanguardia (prego nascondere ai suddetti “Xu Feng”, ché di decessi prematuri ne è pieno il mondo)

c) i soliti incorreggibili metallari dicono pan per polenta.

La prima offenderebbe me, se non fosse che mi è difficile immaginare evoluzioni in stili e soluzioni rimasti pressoché inalterati negli ultimi vent’anni – beninteso, non è detto sia un male. Fatti salvi un paio di spunti eccezionalmente esuberanti, il Gerry Nestler di “Harmonic” suonava come un Tom Morello con la propensione alla jam. In “Fire From The Evening Sun” il copione poco si discosta: ed in quel poco si legga soprattutto la ballata blues conclusiva, “Corner Girl” (ricordabile più per l’ottimo arrangiamento strumentale, con pittoresche e zigzaganti sezioni centrali di fiati, che per la melodia in sé), e per “Turn In The Sky”, che eleva alla massima potenza le intuizioni crossover di “Held In Light”, imprigionando tremolanti bagliori dark wave in un’eclettica corazza post grunge. La centrifuga chitarristica, più spesso, giustifica la frenesia del tocco (le pennellate stonate di “Fanboy”, che subito deraglia in una muscolare esibizione stoner, arrivando infine a lambire territori D.R.I.) con un’ardita alternanza distonica di piani sequenza (il funk metal incalzante di “Train”, i riverberi surf di “Omniscience” devastati da una seghettatura slayeriana ulteriormente pompata dal wah, le tensioni perduranti di “Blue Dragon”) banalizzata, tuttavia, da una prestazione vocale troppo appariscente nelle scorticature (la title-track) e scialba nei puliti (la tenebrosa ruffianata di “Silver Queen”). I risultati finiscono per essere allo stesso tempo migliori e peggiori del first act: non vi sono grosse cadute di stile, ma nemmeno acuti degni di essere chiamati tali.

La seconda spara alto, ma – e di questo mi dolgo – coglie senza difficoltà il bersaglio. Lo stile di Lombardo, anche nei dischi peggiori degli assassini californiani, è sempre stato in grado di conservare una tentacolare tendenza alla diversificazione: ci si figuri nel suo principale side project (o, dopo il secondo gran rifiuto alla corte di Araya & Co., il suo nuovo gruppo?). Anche in questo caso, si concede la palma alla doppietta conclusiva: nello specifico, il già decantato arrangiamento di “Corner Girl” permette di sperimentare non solo timbriche differenti sui tom, ma anche diverse percussioni secondarie, rilevabili con un attento ascolto in cuffia. Per tutta la durata di “Fire From The Evening Sun”, il profilo ritmico è mantenuto basso, ma onnipresente: le felpature di “We Sail At Dawn”, il fondo rimbombare di “Lady Of The Lake”, le sciabolate di “Luxhaven”. È in “Fanboy” che si risente, in tutta la sua completezza, il panzer schiacciasassi e lo stratega dalla variazione abile: la durata contenuta del pezzo, sotto i due minuti, amplifica peraltro la rilevanza di ogni singolo passaggio. Di gran lunga meno apprezzabili, per la loro inadeguatezza al contesto o la povertà espressiva loro sottostante, sono quei segmenti in cui Lombardo cerca di forzare la mano (i rullanti che doppiano lo sferragliare dei vagoni locomotori in “Train” sono autentico spaccato kitsch) o di sciogliere il bandolo di una matassa quanto mai intricata senza, tuttavia, cogliere il baricentro strumentale (“Lion’s Pit”, brano comunque mediocre, viene affossato anche per mancanza di vera dinamica).

La terza è un preciso atto d’accusa, di cui rivendico paternità e responsabilità. Solo chi ignora scientemente la progenie di Rage Against The Machine (per l’afrore urbano delle partiture di Nestler), Faith No More (per talune, rade bizzarrie circensi) e Snot (per l’impatto “libero” della strumentazione) potrebbe individuare nei Philm i defensores patriae di un genere ormai non più genere e non più contenibile in alcun compartimento stagno. Per cui, se il gruppo di “Harmonic” era un coagulo di tre teste pensanti colte in uno spaccato di divertimento professionale, quello di “Fire From The Evening Sun” è un power trio che nella compattezza e nell’esperienza trova motivo di essere. Nulla (?) di più.

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