Primus
The Desaturating Seven
Lunico momento vagamente incisivo della carriera politica di Dario Franceschini fu una stoccata abbozzata a margine di un appuntamento elettorale del PD ligure, nel maggio 2009, quando chiese agli italiani se volessero far educare i loro figli da un personaggio come Berlusconi (tacito spoiler: sì). Proviamo a volgere lannosa questione a nostro favore: se al posto di questa faccia ci fosse questaltra, sareste comunque preoccupati per i vostri figli? Io, per dire, a uno come Les Claypool, che borbotta robe del genere, non farei correggere nemmeno i compiti di matematica. Eppure è precisamente nel dna di musiche come quelle dei Primus irriverenti, ludiche, anarcoidi, in definitiva pericolose che si trova incisa a chiare lettere la fascinazione per luniverso infantile, un variopinto mondo a sé stante ben più vicino alle disordinate logiche degli happening zappiani che alle convenzioni sociali degli adulti.
La strana-non strana combinazione, un filo rosso tematico che attraversa tutta la discografia dellimpertinente trio di El Sobrante, California, sembra essersi accentuata nel recente periodo dellufficiale comeback discografico, dal plastico fumettone di Green Naugahyde (2011) agli sconnessi bozzetti di Primus & The Chocolate Factory (2014), senza escludere quel Monolith Of Phobos che un po a sorpresa certificava lesordio della collaborazione di Claypool con Sean Lennon nel supergruppo The Claypool Lennon Delirium. Approdo ed apice naturale di questo percorso è The Desaturating Seven, primo disco in ventidue anni con Tim Alexander alla batteria e nuovo tassello alla voce fittizie colonne sonore: dopo il celebre romanzo di Roald Dahl, a finire nel mirino della band è la fiaba delludinese Ul De Rico I coboldi degli arcobaleni che, a quanto ci è dato di capire, era allepoca una delle letture prescelte dai pargoli di Claypool (alzi la mano chi ha avuto un flash di quella copia di Mr. Pig and Sonny Too che balena nel Pig di williamsiana memoria ).
Insolitamente breve per i loro canoni, specialmente quelli settati dai capolavori degli anni 90, The Desaturating Seven scavalca a piè pari la staccionata delleccessivo formalismo della Fabbrica di cioccolato, sdoganando vizi e virtù di un approccio contemporaneo al prog. Non ingannino quei trentaquattro minuti complessivi: quando il flamenco acustico approcciato da Larry LaLonde in The Trek si infrange su una rete di dissonanze, prima che sulla scena irrompa lallucinato recitato del capobanda e, con esso, una vigorosa sventagliata di schiaffi acid-funk, la sola etichetta a venire in mente è quella. Tra passaggi più canonici (The Scheme è il singolo dei Primus più riuscito da ventanni a questa parte) e qualche evitabile anticaglia di maniera (le scansioni alternate dei gelidi riff del dada-metal di The Seven sono impregnate dellantica lezione crossover), dal cilindro del cappellaio matto fanno capolino ruzzolanti marce frantumate da breakdown crimsoniani ed enfiate in teatrali crescendo da avanspettacolo (The Storm): una vicinanza con i Residents che si fa sovrapposizione nelle litanie effettate di The Dream, risolta solo in coda in un aspro galoppo groovy à la Pork Soda, e nella stralunata ouverture polifonica di The Valley.
Gira che ti rigira, la lezione rimane sempre la stessa: dai grandi vecchi non ce ne vogliano gli aspiranti rottamatori cè sempre qualcosa da imparare. Specialmente quando letà anagrafica continua a non sposarsi con il sentire interiore
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