Rage Against The Machine
Rage Against The Machine
La Comunità degli Stati Indipendenti era solo un telo candido adagiato da mani misericordiose sul cadavere dell’URSS, agonizzante dall’ottobre del 1989 (con la caduta del muro di Berlino) ma deceduto ufficialmente solo nell’agosto del 1991. Mentre Gorbacev si trovava in esilio forzato sull’isola di Cipro, Boris Eltsin firmò un decreto che bandiva il partito comunista da tutta la Russia, bando che rapidamente si estese a tutte le ex repubbliche baltiche dell’ex Unione Sovietica.
Dall’altra parte dell’oceano, intanto, i mortali nemici di cinquant’anni di guerra fredda, il 16 gennaio di quello stesso anno, 19 ore dopo la scadenza dell’ultimatum dell’ONU, davano il via libera all’operazione Desert Storm: fu la più potente azione bellica alleata dal 1945 in poi e l’inizio di una progressiva occupazione militare e neo-colonialista del medio oriente (che purtroppo dura a tutt’oggi), attuata col duplice scopo di salvaguardare i propri interessi energetici e di creare mercati satelliti su cui smaltire l’ingente sovrapproduzione, scongiurando l’incipiente recessione, frutto di dodici anni di liberismo “reaganiano”.
Sul fronte interno, a Los Angeles, nel maggio del 1992 scoppiava la famigerata rivolta del South Central, nell’immediato imputata all’infame sentenza sul “caso Rodney King”, in realtà onda lunga di una violenta politica di contenimento repressivo e razzista del neopauperismo dei ghetti afroamericani perpetrata dall’LAPD a partire dai tumulti di Watts nel 1965. Causerà 54 morti, 2000 feriti e oltre 12000 arresti. Nello stesso anno nasce il World Wide Web, dispiegamento e diffusione popolare delle potenziali di internet, che trasforma l’utopia di Ted Nelson (in “Computer lib/Dream Machine”, manifesto politico del 1965) su una forma pura e totalmente aperta di ipertesto come base di un nuovo sistema libertario (XANADU), nella testa di ponte mediatico-affaristica grazie alla quale le multinazionali stringeranno ancora di più il loro cappio al collo dell’economia globale.
Nel frattempo in Italia, più modestamente, un’intera classe politica si avviava recalcitrante verso il rogo di un’inchiesta giudiziaria che l’avrebbe ridotta in cenere;nel vuoto di potere creatosi, Cosa Nostra, in attesa di conoscere il nuovo referente politico, intrecciava una trattativa con alcuni segmenti dello stato allo scopo di ottenere l’annullamento delle leggi d’emergenza promulgate dopo le stragi siciliane. Altre bazzecole come gli attentati alle opere d’arte e al Vaticano, le rivelazioni sull’esistenza di un struttura paramilitare e golpista denominata GLADIO, contribuirono a rendere ancora più mefitica l’aria del “Belpaese”.
Il biennio 1991/92 rappresenta uno snodo cruciale per comprendere l’evoluzione della storia contemporanea. Le fosche nebbie del secolo breve furono improvvisamente squarciate da alcune verità incontrovertibili che preannunciavano, come scosse di assestamento, il terremoto del trapasso nel nuovo millennio. Epoca in cui il medium, fregandosene altamente di McLuhan, avrebbe deciso di piantarla di essere semplicemente “il messaggio”, pensando bene di diventare/inventare la realtà stessa. La televisione, infine, uccise il mondo, compiendo quello che Baudrillard definirà un “delitto perfetto” Ancora oggi, nell’immaginario collettivo, tutti gli eventi rievocati sono indissolubilmente legati dall’inedita, invasiva, ossessiva cronaca riportata dai media, già a pieno titolo cospiratori della notizia-spettacolo e della tragedia in diretta.
Ebbene, al dunque, è così, se mai è esistita un’opera in grado di filtrare sincreticamente le tensioni e le istanze di quel periodo per declinarle con consapevole ferocia in una sorta di “guerrilla warfare” musicale che tenne ideologicamente a battesimo il movimento no-global, celebrando la resurrezione di nuovi antagonismi militanti, quella è certamente l’instant debut omonimo dei Rage Against The Machine (Epic, 1992). Grazie a Tom Morello, Zack De la Rocha, Tim Commerford e Brad Wilk, heavy metal, hardcore, funk e hip hop perdono definitivamente le loro coordinate melodiche, polverizzandosi in canzoni che fanno saltare le barriere fra i generi e gli stili condensandoli in una esplosione di rabbia pura.
Bombtrack infiamma subito la miccia della sommossa, polveriera di scabro acciaio heavy-rock (AC-DC, Led Zeppelin) che riprende in chiave polemica lo slogan di Stokely Carmichael e Rap Brown ( “Burn baby burn!” qui diventa “Burn, burn, yes you gotta burn!”) frantumandolo in fulminanti ripartenze hard-punk alla MC5; De la Rocha ne cavalca la ritmica alla testa di feroci e selvaggi assalti verbali che forgiano la proteiforme fluidità del rap (Public Enemy, Cypress Hill) nell’acuminato latrato dell’hardcore (Bad Brains, Dead Kennedys, Suicidal Tendecies, Infectuos Groove).
È quello che poi chiameranno crossover o rap-metal, termini che dicono tutto e niente, ma è anche molto, molto di più. Killing in the name è il capolavoro, un panzer cadenzato e minaccioso, un riff così elementare e tellurico da far morire d’invidia perfino i Black Sabbath, è Mohammed Alì che si rifiuta di fare un passo avanti di fronte alla commissione per la coscrizione obbligatoria, un inno alla diserzione e alla disobbedienza civile (“Fuck you i won’t do what you tell me!”), è la rivendicazione di un attentato recapitata a George Bush Sr. e al nuovo inquilino Bill “Blow-job” Clinton, l’incendio devastante e liberatorio che cova sotto le ceneri del Melting-Pot nella città degli angeli. Take the power back è più funky e sincopato, un groove che esalta il ciclopico basso di Timmy C. e i controtempi scheggiati di Brad Wilk, il rapping più eterodosso e velenoso di De la Rocha e il geniale corredo di effetti scratch, noise, flanger e wah di Tom Morello;sono i Red Hot Chili Peppers che suonano in un covo di Pantere Nere. Bullet in the head, Know your enemy e Wake up, la risolutiva trilogia insurrezionale, brividi e cadenze “zeppeliniani” (Wake up, in particolare, rinserra dietro una barricata di cemento urbano il riff mistico-orientaleggiante di Kashmir), focolari “hendrixiani” accesi un po’ ovunque, testi espliciti al punto di fare apertamente nomi e cognomi, agit-prop e comizi slang che citano Lenin, Angela Davis, Malcom X ma anche Elvis (in chiave negativa e iconoclasta, “You know they went after the King/when spoke out of Vietnam).
Fistful of steel e Settle for nothing, se vogliamo, sono staffette volenterose, anche se un po’ monocorde, che danno comunque il loro onesto e vigoroso apporto alla causa rivoluzionaria. Township Rebellion è la “CNN del ghetto”, una controinformazione militante sui famosi quattro giorni di guerriglia urbana, una riflessione sul destino delle istituzioni corrotte (LAPD;FBI, Governo Federale) e una denuncia senza appello dell’accorata, melliflua manipolazione dei media impegnati a proteggere le certezze da “law & order” dell’America conservatrice. Freedom è l’ultimo colpo da maestro, un grido di denuncia in favore di Leonard Peltier, leader dell’American Indian Movement ingiustamente condannato a due ergastoli dopo un acclarato complotto governativo, la summa rocciosa e frastagliata delle furie e delle sincopi che sferzano l’intero album. De la Rocha che ripete a squarciagola la parola “libertà” nel finale, è uno spettacolo sconsigliato ai deboli di cuore ma può accendere brividi di commozione anche nelle coscienze più scettiche e qualunquiste.
Epocale, seminale, fondamentale.
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