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R Recensione

7/10

Dephosphorus

Impossible Orbits

Dura poco più di ventiquattro minuti, il nuovo disco dei Dephosphorus: ventiquattro minuti di furia chirurgica, precisione balistica, fantasia pirotecnica. Nessun effetto speciale, nessun trucco da avanspettacolo: solo sangue, ingiurie e sudore, tutto catturato in tempo reale e fissato, per sempre, in un’istantanea di potenza sovrumana. Immaginate i movimenti di “Impossible Orbits” come piccoli e compatti corpi celesti che ruotano sul loro asse sempre più vorticosamente, fino a sbilanciarsi ed essere risucchiati rovinosamente in uno spazio saturo di scorie metalliche: paralipomeni essenziali – in ambo i sensi – ai magniloquenti e grandguignoleschi affreschi del precedente “Ravenous Solemnity” (uno degli squilli più perentori e perforanti dell’extreme metal contemporaneo). Né death, né grind, né thrash, né black, né post-core, né psichedelia ipermassiccia (i Dephosphorus come dei Gigan in uno squat sull’Acropoli? Possibilissimo), né chissà cos’altro: ogni singolo reagente messo a contatto col vicino e lasciato libero di trasformarsi in una miscela di soverchiante esplosività. Chiamasi, niente più, che coraggio delle proprie idee.

Dura poco più di ventiquattro minuti, il nuovo disco dei Dephosphorus: segno che di tempo da perdere non ce n’è e che bisogna arrivare dritti al punto. Oddio, dritti… al punto ci si può arrivare anche per vie traverse, a zig zag, di corsa, in uno slancio erculeo: l’importante non è il tragitto, ma la meta. Quindi la title track è un lampo grind dai riflessi astrali, come alcuni esercizi degli ultimi, sontuosi Napalm Death: “Rational Reappraisal” si gioca la carta dello sludge metafisico, prima di prendere velocità in uno stritolante sirtaki danzato a velocità sempre più elevate; “The Light Of Ancient Mistakes” (ispirata dal romanzo di Iain Banks Look To Windward, nella traduzione italiana Volgi lo sguardo al vento) evoca accecanti bagliori di black sinfonico su tempi dispari, scegliendo poi di ripiegare su un rifferama hc old school di superba fattura. A tal proposito, “Impossible Orbits” non sarebbe così efficace se, accanto al latrato di Panos Agoros (la voce dell’oltretomba di un paese lasciato andare allo scatafascio), non ci fossero il gran gusto e l’abile mano di Thanos Mantas: un chitarrista di assoluta versatilità, capace di accostare Cenotaph e Slayer in “Above The Threshold” (splendido riff d’apertura), di cangiare l’acida narrazione cadenzata di “Micro-Aeons Of Torment” in un mattatoio death-grind, di spremere ogni briciolo di dinamismo dalle sincopi di “Αστερόσκονη (Asteroskoni)” e di comprimere ogni fibra muscolare nel micidiale montante conclusivo di “Blessed In A Hail”.

Dura poco più di ventiquattro minuti, il nuovo disco dei Dephosphorus. Ventiquattro minuti che valgono un’intera carriera.

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