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R Recensione

6,5/10

Fulci

Tropical Sun

Che uno suoni abstract hip hop, classica contemporanea o indie rock, concedersi l’ingombrante monicker Fulci è un atto di incoscienza al limite del sacrificio di sé: clickbaiting per gli stolti, lo sfoggio di credenziali tutte da testare, una croce semiotica così pesante che nessuna spalla sembra essere abbastanza larga per reggerla. Figuriamoci il credito che può essere elargito a un trio di giovani deathsters di Caserta e provincia, piccolo tassello dell’eterogenea crew Caserta Beatdown Commando con all’attivo un solo LP (“Opening The Hell Gates”, 2015). Ma siccome ogni film che si rispetti, come l’esistenza umana, è consacrato al nonsense e la vita “è troppo breve per suonare (e ascoltare) riff spompati” (citazione d’autore), ecco che anche una produzione pervicacemente di genere come “Tropical Sun” assume un suo perché.

Erano parecchi anni che, per disamore e frenesia, non arrivavo alla fine di un disco death (old o new style non importa: death puro). I Fulci, vuoi anche per fascinazione metamusicale, sono riusciti nell’impresa. Supplendo alla mancanza di un batterista umano con una drum machine dai suoni curatissimi (i più distratti si accorgeranno del trucco solo dopo due o tre ascolti), il trio campano inanella una serie di affondi che, oltre all’indubbio impatto epidermico, si segnalano per delle capacità di scrittura non comuni: tra le anse slam della title track si nasconde un mefitico assolo à la Krisiun, “Legion Of The Resurrected” ha la potenza dei Cannibal Corpse dei tempi d’oro, “Genetic Zombification” sfoggia dei rallentamenti da manuale, “Eye Full Of Maggots” è una scorticante artigliata thrash-death e “Blue Inferno” gioca con degli epici salti di tono. Poi, sparse qui e lì, disarticolate nella mattanza generale, delle piccole chicche strumentali: il solenne Frizzi di “Voodoo Gore Ritual” (il featuring qui è dei Cacao), i synth oscuri di “Witch Doctor”, la bella melodia arpeggiata di “Immortality Virus” (in collaborazione con gli Acid Castello) e il gran finale, con la trionfante reinterpretazione death-doom di “March Of The Living Dead”.

Non il solito gruppo da supportare per farlo suonare dal vivo: una bella realtà da coltivare anche nella dimensione studio. Ci si aspettano grandi cose da questi ragazzi.

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