Napalm Death
Time Waits For No Slave
Enemy Of The Music Business, risalente ad ormai nove anni fa, era stata loccasione per i Napalm Death di rinnovare la propria ricetta musicale e di risollevare le sorti di una carriera che si stava un po appannando dopo le ultime uscite non brillantissime per la storica Earache. Il sound contenuto in quellalbum era una miscela di tutte le sperimentazioni condotte dal gruppo inglese nel corso degli anni: partendo da una solida base death-grind, i nostri aggiungevano dosi notevoli di hardcore punk, crust e quelle venature industrial e dissonanze noise che avevano fatto capolino in dischi come Diatribes e Inside The Torn Apart. Un impasto sonoro decisamente ricco dingredienti, quindi, efficace ed assolutamente distruttivo, che i nostri hanno rinnovato nel corso degli ultimi anni grazie a dischi come The Code Is Red Long Live The Code ed il più recente Smear Campaign.
Ebbene, questo nuovo Time Waits For No Slave, che inaugura linizio del nuovo anno, non fa eccezione: ritroviamo infatti gli stessi elementi che hanno caratterizzato il suono dei Napalm Death del 2000. Ma se i precedenti dischi riuscivano ad essere esaltanti e carichi di adrenalina dal primo allultimo secondo, questo nuovo episodio comincia a mostrare un po la corda, pur tuttavia essendo un album assolutamente degno del loro nome. Qualsiasi ricetta alla lunga stanca, per quanto possa essere buona, ed è quello che sta accadendo al gruppo di Mark Barney Greenway e compagnia.
I primi 4 brani in scaletta ci riportano dritti dritti allatmosfera respirata negli ultimi episodi: Strongarm, Diktat, Work To Rule e On The Brink Of Extinction hanno un tiro micidiale, con un riffing assassino supportato da una sezione ritmica davvero eccellente, veloce, precisa e variegata. Ritroviamo anche il solito caratteristico growl di Barney Greenway, davvero in forma e incazzato più che mai.
Con la title-track cominciamo a viaggiare in territori diversi: i riffs si fanno più acidi e dissonanti, creando unatmosfera decisamente tesa e profonda. Lutilizzo dei cori dona al brano un tocco ancor più alienante e minaccioso, ma che richiede un paio di ascolti in più del normale per poter essere compreso. In Fallacy Dominion, dai tratti quasi post-core, si respira unatmosfera più sospesa, per certi versi simile a quella di Leviathan dei Mastodon, mentre Larceny Of The Heart presenta dissonanze di sonicyouth-iana memoria, ma inserite in un contesto molto più violento.
Purtroppo non tutti gli esperimenti sono riusciti pienamente: Life And Limb apre con un riff cadenzato che rievoca vagamente i Voivod di Negatron, ma per il resto è una traccia abbastanza standard, che manca di guizzi particolari, mentre Passive Tense e Procrastination On The Empty Vessel appaiono povere di mordente e tendono a passare in secondo piano rispetto ad altre tracce. Infatti i brani che sembrano girare meglio son proprio quelli più tradizionali: la thrasheggiante Downbeat Clique e la conclusiva (e più hardcoreggiante) De-Evolution Ad Nauseum ne sono la prova schiacciante. In A No-Sided Argument troviamo un riff, circa a metà canzone, che sembra essere stato ripreso pari pari da Screaming Of The Unborn degli Anaal Nathrakh (con i quali il bassista Shane Embury, non a caso, ha collaborato di recente).
In conclusione si può considerare Time Waits For No Slave come un episodio di transizione, che alterna ottimi brani ad altri un po meno riusciti. Non si tratta di un album di facile assimilazione, vista anche la sua durata consistente (ben 50 minuti). Tuttavia resta un buonissimo disco che ci presenta una band con ancora molto da dire dopo più di 25 anni di onorata carriera; ma ormai è giunto il momento per i Napalm Death di esplorare nuove vie, in modo da non rimanere prigionieri dellimpianto sonoro da loro stessi creato. Teniamo le dita incrociate in attesa di sviluppi futuri.
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