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R Recensione

5/10

Melvins

A Walk With Love And Death

Dieci anni fa, all’alba di “Nude With Boots”, se mi avessero detto che i Melvins avrebbero rilasciato un doppio disco, avrei festeggiato per settimane. Dieci anni dopo, con una parabola artistica in evidente flessione ed un’attività studio la cui bulimica frenesia non si sposa minimamente con il mantenimento di standard qualitativi accettabili, l’annuncio di “A Walk With Love And Death” ingenera solamente nuove inquietudini e ridde di domande senza risposta. Il dubbio che – a poco più di un anno dal deludente “Basses Loaded” e ad una manciata di mesi dal modesto debutto omonimo dei Crystal Fairy – fossero davvero necessari nuovi segnali studio dalla galassia Melvins è perfettamente radicato: perplessità che si mutano in matematica certezza all’ascolto di materiale che, ne siamo certi, ai tempi d’oro non avrebbe trovato distribuzione nemmeno per vie traverse.

Dato che la schiettezza premia sempre, bando alle ciance: negli stiracchiatissimi ottanta e passa minuti su cui si spalma “A Walk With Love And Death” non c’è una singola idea da ricordare, un solo passaggio da mandare a memoria. Il primo disco, “Death”, scritto e registrato con Steven McDonald degli OFF! in qualità di bassista ufficiale (oltre ad una serie di ospiti mica male: Joey Santiago dei Pixies alla chitarra, Anna Waronker e il prezzemolino Teri Gender Bender de Le Butcherettes alle backing vocals), si accoda pedissequamente alla scia delle ultime uscite. Traduzione pratica: interminabili sludge lamentosi suonati in apnea e frizionati con dosi sempre maggiori di rock classico (“Black Health”), grandeur epiche al ralenti con tanto di sapiente fraseggiare blues, sempre lo stesso (“Sober-Delic (Acid Only)”), asfissianti ed atlantici riffing doom da fine del mondo (“Euthanasia”), modestissimi singolini dal retrogusto street (“What’s Wrong With You?”: appunto), strizzate d’occhio a certo, monolitico hard rock (“Flaming Creature”: un omaggio a Jack Smith?), scorie post-grunge in decadimento (“Christ Hammer”) e qualche grattugiata latineggiante (“Cardboa Negro”). Tutto già sentito, risentito, frusto, digerito ed assimilato milioni di volte.

Peggio ancora, tuttavia, va a “Love”, concepito per sonorizzare il cortometraggio sperimentale A Walk With Love And Death di Jessie Nieminen. Qui, a Santiago e alla Waronker, si aggiungono mr. Amphetamine Reptile Tom Hazelmyer (chitarra), James Bartlett alle tastiere e Toshi Kasaii alla rumoristica assortita. Lo scopo, idealmente, è quello di replicare gli effetti anarco-orrorifici di un “Pigs Of The Roman Empire”, servendosi di un flusso di coscienza continuo che – per contiguità – potrebbe ricordare le immersioni oniriche dei cLOUDDEAD. Questo sulla carta, perché l’ammonticchiarsi di registrazioni vocali (“Aim High”, “Pacoima Normal” tra le moltissime), feedback effettati (“Chicken Butt”), giga noise (“Halfway To The Bakersfield Mall”), tuoni dell’apocalisse (“Queen Powder Party”), limacciosi turning point dark ambient (“T-Burg”, “The A*****e Bastard”), inverosimili garage lo-fi (“Give It To Me”) e samples tra i più vari (“Scooba” quasi richiama la swingata melodia onomatopeica di “Bathtime In Clerkenwell” di The Real Tuesday Weld) è del tutto caotico ed inconcludente. È ormai stereotipo dire che certi esperimenti, privi della necessaria controparte visuale, rendano la metà del loro potenziale o non rendano affatto: ma qui tutto è così abbozzato, così sfrangiato che quasi non vale la pena mettersi a spaccare il capello in quattro.

Per il rispetto dovuto verso i Melvins e la loro storia, aggiungiamo un fittizio mezzo voto supplementare alla reale valutazione. Il reale timore è che, una volta raggiunto il fondo, non si possa far altro che continuare a scavare.

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