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7/10

SpaccaMombu

In The Kennel, Vol. 2 - SpaccaMombu

Dischi che dipingono un futuro, che illuminano un avvenire. A chi pronosticasse l’avvento dei Velvet Underground criptici ed atonali nel post-banana, basandosi sui rumorosi declivi dell’esordio e sul caos destrutturato di “European Son”, non possiamo che assegnare a latere un premio per la lungimiranza. Sulla graduale apertura pop dei Motorpsycho, culminata con “Let Them Eat Cake”, forse nessuno avrebbe investito una mensilità del proprio stipendio: eppure. Allo stesso modo, che l’impatto dei Mombu, minimale nella veste ma deflagrante nel contenuto, voltasse lo sguardo verso espressioni pesanti, artisticamente rinnovate, si palesava sin dalla coda strascicata e monolitica di “Ten Harpoon’s Ritual” che, lenta lenta lenta, massiccia massiccia massiccia, chitarrocentrica ad altezze innegabili, traghettava il jazzcore contratto e miasmatico sulle acque di un limaccioso Acheronte sludge. (Voo)doom. “Carboniferous” esasperato nell’iterazione e risuonato, da cima a fondo, dai Melvins. E quindi, ecco, i Mombu, i polmoni di Luca Mai al sax baritono ed i muscoli di Antonio Zitarelli dietro le pelli, scelgono a sorpresa Paolo Spaccamonti come loro Tony Iommi. Paolo Spaccamonti, il guitar hero torinese, quello che dal post rock distruggeva un po’ tutto, quello che con due note strizzava le viscere sin nella più profonda manifestazione emotiva, quello cinematico e descrittivo, ma dannatamente fantasioso. Quello delle buone notizie, a spremere i bicordi come un quindicenne. L’amico di Fabio…

Per sua stessa ammissione, Paolo Spaccamonti è cresciuto a pane ed AC/DC. Quando hai nelle (6) corde un retaggio di questo genere, è naturale che ogni tanto il plettro senta il bisogno di “sbattere” il mi basso o di cercare un bicordo “pesante”. Alla luce di questo, non sono così sicuro che siano stati i Mombu a cercare Paolo. È assai probabile che sia stato lui a voler dismettere i panni del post-rocker solitario e calarsi nel girone infernale del duo Mai & Zitarelli. “In The Kennel” è un progetto interessante come lo fu quell'“In The Fishtank” di marca Konkurrent che diede vita ad accoppiate pazzesche (Tortoise e The Ex, Motorpsycho e Jaga Jazzist...): due giorni chiusi in studio a improvvisare per poi registrare i risultati migliori. Risultati che in questo caso partono dalla comune passione per Tony Iommi (l'“altare” conclusivo, ma soprattutto quell'“Antro” che sembra omaggiare l'intro di “War Pigs”) per arrivare a due conclusioni affini ma diverse: la progenie sabbathiana (Kyuss, Sleep e quel fumo doom psichedelico che aleggia sull'incedere funebre di “Idemortos”) e la deriva jazzcore propria degli Zu prima (“Mountains Crashing Sound”) e dei Mombu poi (la furia tribale di “Aussfais”). Un ibrido reso compatto dalla perizia e dalla fantasia degli interpreti coinvolti, ma al tempo stesso carico del fascino che è specifico di operazioni di questo tipo, nelle quali a prevalere è la volontà di non rimanere chiusi nella propria sala prove (o nella propria cameretta) a riprodurre gli stessi suoni e le stesse idee.

Se la musica è cultura e la cultura è apertura mentale, SpaccaMombu è cultura. Cultura che spacca.

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