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R Recensione

6/10

Zolle

InFesta

Incredibile a dirsi, e alquanto impronosticabile alla vigilia, ma gli Zolle sono già arrivati al terzo disco lungo in quattro anni (il primo per Subsound, dopo le esperienze con Supernatural Cat e Bloody Sound Fucktory). Un’attività prolifica, antitetica al lento procedere dei lavori in casa MoRkObOt, che male si sposa col concetto di divertito e disimpegnato side project: che la faccenda sia più seria di quanto pensassimo? Potrebbe essere. Oppure no: di tutte le immagini che potrebbero scegliere per presentare “InFesta”, Marcello Bellina e Stefano Contardi scelgono infatti il sabato sera dei 17 anni, pieno di energia, onnipotenza e, ahem, “effetti collaterali”. Beata onestà. Il resto viene da sé: come le folate southern che sopraggiungono dietro il compatto e rumorosissimo rifferama High On Fire di “Versum”, l’ottundente colata elettrica di “Lårdo” (i Melvins prima della crisi di mezza età), i sardonici fraseggi AOR che fanno capolino nella valanga di “Interiora” (sludge è un’etichetta che gli Zolle non sembrano amare, ma, insomma, ci siamo capiti), il demenziale call&response a mo’ di refrain nell’hard’n’heavy di “Thortellion”, le slide che stridono e barriscono nell’avanzare monocromo e un po’ tamarro del singolo “Magnum”, il disegnarsi di certi inaspettati ghirigori apocalittici nella tremenda mazzata conclusiva di “UnDoom”…

Sono passati quattro anni, per l’appunto, ma il gioco non è mutato di una virgola. Prendi una pentatonica, isola un riff, sfrondalo da ogni asperità superflua, ripetilo ad oltranza, a volumi crescenti, almeno finché reggono i muscoli: ecco pronto il pezzo. I risultati sono a tratti divertenti (l’handclappin’ di Eeviac e Nicfit in “Infuso” è assolutamente esilarante), altre volte persino coinvolgenti (“Brasathor” suona come se nella banda di paese ci fossero gli ultimi Goblin Cock), più spesso assai modesti e legati esclusivamente al tiro, alla fruizione, all’impatto dell’hic et nunc. Ci si diverte senza alcuna pretesa, per carità, ma dopo qualche minuto già le tracce di quanto ascoltato cominciano a sbiadire nella memoria. È un macroscopico difetto congenito di longevità e prospettiva che affligge, come una zavorra, la scrittura minimale degli Zolle, e che – lo abbiamo ormai capito – rimarrà vita natural durante marca distintiva del loro approccio scanzonato ed elementare all’heavyness.

Questa assoluta naïveté, questo testardo disinteresse verso ogni tipo di ulteriore ricerca stilistica sono forse il tratto che meglio permette di caratterizzare “InFesta” e che, a suo modo, gli fa acquisire un mezzo voto supplementare altrimenti non conteggiabile.

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