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R Recensione

5,5/10

Zolle

Zolle

Non che mi aspettassi un altro disco dei MoRkObOt, questo no. Ma è da quando associo agli Zolle l’immagine di un placido bovino che defeca in libertà, perfettamente autocentrato (la metafora è loro e non mia, sia chiaro), che mi dispiace non poterci costruire sopra l’ennesima, delirante dissertazione sull’ennesimo, delirante disco. Di prettamente insensato, l’omonimo esordio del duo chitarra/batteria ultimo acquisto di Supernatural Cat, ha infatti poco: i titoli, qualche ghignosa svisata, la coda di una “Moongitruce”, a carburazione melvinsiana, avvitata attorno ad un unico, splendido riff di chitarra (suona Marcello, alias Lan del trio di L’odi) che scompare nelle irreali, sintetiche nubi melodiche dei macchinari di Urlo degli Ufomammut e di Roberto Rizzo dei Quasiviri. Per il resto, un’unica tirata: ventotto minuti fatti di pochi elementi, una narrazione esclusivamente strumentale battuta sul ferro del sabbat(h)o sanguinante – anche se, a conti fatti, le distorsioni divertono, più che ferire senso strictu – con quadratissime ritmiche e chitarre semplici semplici, efficaci quanto basta.

Trakthor” sembra uscita dagli anni ’70, aria da spaccone proto-metal che non ha ancora fatto i conti con i Danzig. “Leequame” forma quasi un continuum lineare, rievocando ai limiti della decalcomania il King Buzzo di “(A) Senile Animal”. “Trynchatowak” regala altri begli scorci, andatura marziale troppo solenne per essere presa sul serio ed infatti parodiata all’istante in un’accozzaglia di slide nerastre, palm mute fumiganti a seguire le spirali di uno xilofono (!) e sintesi straordinariamente punk. “Man Ja To Ja!” mostra muscoli street serrati a forza in un obbligato minimalismo strumentale, diluito non granché bene. Con “Weetellah” si torna a percuotere con più forza e convinzione, su sbilenchi volumi stoner e piatti trogloditici: sforzo vanificato dal riapparire del militarismo Melvins in “Heavy Letam” (geniale!) e dai turbinosi stop&go doom di “Melicow”, davvero efficace solo quando la sei corde accantona la baldanza da colonna portante e si fa strumento di groove aggiuntivo.

Veloci si passa da un episodio all’altro, godendone come si godrebbe però di una sveltina: di qualcosa che si conosce bene e che finisce senza lasciare traccia. I più ne rimarranno comunque soddisfatti, ma noi – conoscendo chi si è adoperato al fine – pretendiamo qualcosa di meglio…

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