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R Recensione

7/10

Harvey Milk

Life... The Best Game In Town

Alzi la mano chi non ha mai desiderato, almeno per una volta, trovarsi in una di queste sciatte ed adolescenziali camerette dalle pareti stinte rappresentata nell’artwork di “Life… The Best Game In Town” degli Harvey Milk (sempre ammesso e non concesso che in quell’archetipo di stanza voi non ci siate realmente cresciuti). Una sbrindellata t-shirt di Eddie, la pluridecennale mascotte degli Iron Maiden, un sombrero ciondolante, un articolo di giornale nell’angolo semi-nascosto dalla tinta violacea del muro: tutti elementi riconducibili alla carta d’identità del teenager medio.

Cosa si nasconda in realtà dietro questo ennesimo disco di una band americana, che prende il nome da un politico statunitense omosessuale degli anni ’60 brutalmente ucciso trent’anni orsono, lo sa solo chi lo ha suonato e chi ne sta scrivendo in questo momento.

Per chi pensa di avere di fronte una delle tante band hardcore specializzate in proclami giovanilistici di facile presa, più o meno sbraitati, faccia un passo indietro. E dire che un avviso lo avevate già avuto: l’etichetta, Hydrahead, il cui motto è non pubblicare nulla che sia volontariamente sotto una certa soglia di watt, e che da anni si diverte a sfornare un gruppo migliore dell’altro.

Per chi pensa che l’alternanza di suoni tenui e grandinate chitarristiche sia priorità esclusiva di certo post rock strumentale, faccia tre passi indietro e prenda il cilicio. O, in alternativa, agguanti l’opera in questione ed alzi il volume al massimo per l’opener, “Death Goes To The Winner”. Quello che sembra essere folk apocalittico dei più introspettivi e lamentosi, presto si contorce in un’ansa sludge strascicatissima, con feedback che ronzano attorno a costruzioni prog d’altissima gradazione psichedelica. Un mattone bollente che precipita nello stomaco. Ed una voce particolarmente espressiva che, a conti fatti, vi manda in tilt digestivo per alcune ore.

Per chi pensa che spesso, di questi dischi metal brutti e zozzi e sporchi e cattivi e (aggettivo dissacrante a scelta) ne prendi uno e li hai già ascoltati tutti, si volti rapidamente e cominci a correre all’indietro il più veloce possibile. Non per paura di nemmeno troppo velate ritorsioni del sottoscritto (son forse io John Wayne? E tu chi saresti?), ma per cercare di sfuggire al diluvio di distorsioni che vi sta per piovere fra capo e collo. “Decades” prende gli Electric Wizard e li spreme dentro un teatro di effluvi stordenti. “A Maelstrom Of Bad Decisions” spazzola via la polvere dagli amplificatori con una sezione strumentale che non si sarebbe trovata affatto male in “Ænima” dei Tool. La chilometrica, strumentale “After All I've Done For You, This Is How You Repay Me?” e la breve “Barnburner”, praticamente in scream, cambiano completamente registro ed alzano di molto il tiro. Fuori le gravezze doom, dentro staffilate di riff potenti e cocenti che profumano di Palm Beach lontano un chilometro, per bordate stoner d’impressionante efficacia, come ne facevano i Monster Magnet dei tempi d’oro.

Per chi pensa che, in fondo, questi siano dischi dalle vedute limitate, della serie io-oltre-il-mio-campo-d’azione-non-mi-ci-avventuro, non si muova da lì. Godetevi “Motown”, bellissimo southern blues dalle tinte calde e morbide (il nome fa la differenza), di cui nemmeno una sei corde slabbrata riesce a ferirne il fascino. Sobbalzate anche voi, al ritmo selvaggio di “We Destroy The Family”, praticamente una versione barbuta e panciuta della furia settantasettina, con un basso che vi sradicherà le orecchie dalla cervice.

Ma come, nessun difetto? Sì, non preoccupatevi, ce ne sono. Potrei citarvi l’eccessiva similarità di alcuni pezzi –“Goodbye Blues”, ad esempio, davvero troppo lunga, cadenzata e tirata per i capelli… ops, per le sei corde- od il fatto che, forse, colate laviche di suono, specie se di questo calibro, sono forse un po’ eccessive da assimilare tutte in una volta.

Ma, per chi pensa che…

Però, forse, l’ho già detto.

Ah, quasi mi dimenticavo: gli Harvey Milk sono tornati, belli muscolosi e bellicosi.

Buon ascolto.

V Voti

Voto degli utenti: 8/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

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maracio (ha votato 8 questo disco) alle 12:29 del 30 luglio 2009 ha scritto:

A me questo disco è piaciuto parecchio. Più che su "Goodbye blues" - un pezzo dalla disperata e formidabile lentezza/pesantezza - avrei qualcosa da eccepire sui 4 minuti passati a battere sulla stessa nota in "Death goes to the winner". Per il resto concordo praticamente su tutto. Bella prova.