R Recensione

8/10

Shrinebuilder

Shrinebuilder

Uno dei giochini più perversi della critica specializzata, da sempre, è quello del fantacalcio applicato di volta in volta al settore di (presunta) competenza. Metodologia perseguibile ai fini della legge, spesso. Ne nascono fuori dedali e coacervi di luminari tra loro invischiati in assenza di senso logico, con sprezzo violentemente diacronico, aggruppamenti che mandano in sofferenza i fan e farebbero diventare perplessi gli stessi artisti. Bene, voltiamo pagina e rendiamo la questione un po’ più pepata, accostando tra loro quattro nomi che hanno, come unico tratto distintivo in comune, quello di aver contribuito a rimodellare dalle fondamenta un certo tipo di suono, quello stoner, seppur da prospettive molto diverse. Portiere l’affidabile Al Cisneros, ex mente degli Sleep ed ora Venerabile Maestro dell’entità metafisica OM, bassista e cantante dalle reti sovente inviolate, negli ultimi anni. Pilone centrale della retroguardia Dale Crover, uno che se ne intende parecchio di mazzate, entrate fuori tempo e caviglie rotte: la fabbrica dei Melvins garantisce. Il centrocampo è fluidificato dalla presenza selvaggia di Scott Kelly, folksinger introspettivo nel privato e animale ferino nella madrepatria Neurosis, ovvero il meglio del post-metal mai esistito (ed esistente). La punta, da vero fuoriclasse, è bizzosa, nervosa, sopra le righe: citate Scott Weinrich (anzi: Wino) a qualsiasi amante del blues degenerato su pentatoniche di volta in volta sempre più sporche e snervanti, ed avrete la loro completa attenzione. Cosa aspettarsi, in fondo, da colui che con St. Vitus e Spirit Caravan ha letteralmente rifondato il doom?

Carrellata conclusa. La vera notizia, però, è che sia destinata a non rimanere tale: questo popò di ensemble artistico e/o – ma propenderei maggiormente per un connettivo coordinante – degenerato trova il suo sbocco ideale in un progetto, Shrinebuilder (da cui anche il titolo dell’omonimo esordio). L’obiettivo è, chiaramente, dimostrare come l’unione di personalità così differenti ed ugualmente influenti possa, nonostante tutto, portare a risultati stellari: cinque pezzi, a questo proposito, costruiti ed arrangiati con la massima cura, intagliati negli assunti primordi che hanno portato ai massimi livelli ogni singolo componente. In sintesi, psych-stoner-hard-rock-doom-delia. Domanda, a questo punto, quantomeno lecita: si potrà riconoscere un benché sottile distinguo tra ciò che vale e ciò che, invece, è puro frutto del mestiere accumulato in anni di palcoscenico?

To be honest, chi mi conosce e legge sa che non sono tipo da facile presa, per cui l’impatto di un riff è manna dal cielo. Eppure, entrando nello specifico, qui c’è davvero di che rimanere estasiati. “Shrinebuilder” non rischia, nemmeno per un momento, di ergersi a vetrina edonistica per uso e consumo esclusivo dei musicisti: è incredibile, anzi, constatare come le peculiarità di ognuno vengano esaltate dal tessuto complessivo, decisamente stratificato e adatto a più strati di lettura. “Solar Benediction” lacera con la forza di un bisonte e s’impenna in aria sotto i cartelli stradali della Sky Valley, salvo poi retrocedere in incredibili stille acustiche dotate di pass verso Psychopolis (all comes from r’n’r…). “Pyramid Of The Moon” amplia gli orizzonti, sbilanciandosi invero sull’introspezione tanto cara a Cisneros e monetizzando le più felici intuizioni del recente “God Is Good”, inselvatichendole e trapiantandole in contesti decisamente più aspri. “Science Of Anger” è una pressa accecante, da dove scivolano fuori chitarre al limite dello space rock, navicelle per far deragliare il monolitico condotto principale. Solo “The Architect” ci ricorda che, comunque vada, il tempio costruito sarà solido e trionfante, come il ringhio di Kelly sulla satura elettricità di Wino: semplicemente, “Blind For All To See” è il ronzio minaccioso dell’anatema pendente.

Com’è che si dice, in questi casi? Ah, già: must have.

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Voto degli utenti: 5,5/10 in media su 2 voti.
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