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R Recensione

6,5/10

Tons

Musineè Doom Session, Volume I

Presenti all’appello: la goliardia misti(cisti)ca, l’amplificazione siderurgica, il maniacale interesse al dettaglio. Si può annotare, per i non amanti delle coincidenze, la provenienza piemontese, caratteristica che appare quasi lapalissiana sin dai primissimi approcci di un materiale, incandescente e tetro, come i Pentagram su cui sia stato sopra impiantato un vocalism tra EyeHateGod e Weedeater. L’ombra di Supernatural Cat e di un’Italia che si (ri)scopre un pizzico più doom ogni giorno che passa aleggia sull’esordio dei Tons, power trio i cui singoli componenti sono stati in passato attivi (non a caso) nei giri hc e grind, quasi a sottolineare che da lì tutto è in grado di partire e di consumarsi. E se le radici – sforacchiate, combuste – puntano di più in direzione sludge, l’ansa contorta e ringhiante dove la velocità supersonica abbraccia la lentezza mortifera, nulla di cui sorprendersi: è pur sempre un riflesso del background in seno al gruppo.

Musineè Doom Session, Volume I” (pseudo-concept che sproloquia di un’altura valsusina sulla quale si verificherebbero fatti magici ed inusuali, quasi a porre nuovamente al centro della sfera esoterica il grigiore della Torino “sotterranea”) è un disco che gli appassionati del genere sapranno apprezzare incondizionatamente, e per la compattezza delle trame, e per il rispetto devozionale con il quale le innegabili influenze vengono accostate, le une alle altre. Non vi è assolutamente nulla di non già detto in sei brani di media lunghezza che procedono, spesso e volentieri, strumentali, aggiungendo voci samplizzate e latrati in presa diretta quando il fiume di distorsione incappa in decelerazioni d’obbligo. La narcolessi del “giro facile” (la solita pentatonica blues ridotta in poltiglia dall’elettricità, a dirla in altra maniera) colpisce da subito “Musineè Doom Session”, ma già i montanti stoner che sorreggono “Once Upon A Tentacle” (i Kyuss di “…And The Circus Leaves Town” brutalizzati dai Bongripper) tengono alla grande, ed il gonfio, intontito rifferama Electric Wizard ultima maniera di “Rime Of The Ancient Grower” viene rivitalizzato, in coda, da scansioni punk ed assoli in wah. Per qualcuno un esercizio di stile e nulla più, me ne rendo conto. Si può essere più o meno d’accordo, ma la confezione (ideologica e, perché no, anche materiale) non incontra significativi momenti di stanca, sino alle scariche di doppia cassa con le quali “Ketaman Gold” sfuma nella bella cavalcata doom di “At War With Yog-Sothoth”.

Un tardivo ripescaggio, su queste basi, veniva praticamente ad imporsi.

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