Type O Negative
Slow, Deep and Hard
Poiché piano piano sto confessando anche i miei affari più privati, rendiamo pubblica anche questa: soffro di insonnia. Non sempre, anzi a volte subisco periodi di totale e costante semi-incoscienza, qualcosa a metà tra la demenza senile ed il coma farmacologico. Ma in alcuni periodi dell’anno non riesco a socchiudere gli occhi neanche con le infusioni di crack.
Recentemente, durante uno di questi solitari e drammatici veglioni notturni, mi sono imbattuto in “Met-all-o”, trasmissione televisiva in onda dopo mezzanotte sul canale All Music. A parte il fatto che dovrebbero spiegarmi il motivo dei trattini (“all” si traduce con “tutti” … ma poi?) e la ragione oscura che porta i responsabili della programmazione (scusate ma proprio non riesco a scrivere la parola “palinsesto”) ad intervallare i video dei Cradle of Filth e dei Cannibal Corpse con le interviste di “The Club” (avete presente: “Nome? Camilla!”, “Età? 16 anni!”, “Posizione preferita per fare l’amore? Va bene tutto!” – agghiacciante, dopo cinque minuti ti viene voglia di chiamare il tuo amico veterinario e farti sterilizzare). Ma soprattutto vorrei sapere chi seleziona quei dannatissimi video. Voglio dire, il metal è ancora un genere che offre spunti interessanti, commistioni folk ed etniche, musicisti di valore, grandi bands ancora in piena attività. E allora perché su “Met-all-o” si vedono solo gruppi tedeschi che gridano in falsetto come andava di moda venti anni fa, roba che al confronto i Manowar ci fanno la figura degli avanguardisti?
Mistero. Anzi “Mis-ter-o”. Comunque, dopo aver rischiato di strozzarmi dalle risate guardando il video di quattro infermi guidati da un cantante che sembrava avesse ingoiato la sirena della polizia e da un bassista pelato, peloso come una scimmia e vestito (giuro) da sposa, ho deciso di spegnere la tv. Che non è che puoi prendere sonno nel bel mezzo del freak-show dei metallari.
Fissando lo schermo nero del televisore, ancora inebetito dalla vista del bassista-sposa-scimmia, ebbi una visione: “Headbangers ball”. Su Mtv, la notte, dalla fine degli anni ’80 fino a quasi tutti i ’90. Riuscivo a visualizzarne il logo, la conduttrice-amazzone biondissima e tatuata. Una meraviglia, “Headbangers ball”, fin dal titolo. Ci si riuniva con gli amici, a mezzanotte a casa di Daniele, solo per vedere “Headbangers ball” a volumi spropositati, che tanto i genitori di Daniele erano separati e tornavano tardi tutte le sere (una stranezza assoluta, all’epoca).
Ad un certo punto era scattato anche un processo di identificazione con quelle bands potenti e cattivissime, e con quell’immaginario orrorifico e disturbante che caratterizzava gran parte dei video. Si cominciò nel più classico dei modi, tra la fazione pro-Metallica e quella pro-Slayer, tra chi considerava Dave Mustaine un tossico traditore e chi un eroe integerrimo del metal. Lentamente, iniziò la gara a chi aveva il coraggio di penetrare più a fondo negli abissi dell’orrore, verso il vero metal, quello senza compromessi, terrificante, pesantissimo, inascoltabile. Allora qualcuno cominciò ad alzare il volume quando mandavano il video degli Entombed girato al cimitero, altri quando sentivano le prime note chirurgiche dei Carcass, altri ancora quando partiva il pianto disperato degli Obituary.
Venne il giorno in cui “Headbangers Ball” non bastò più. Allora si cominciò ad andare nei negozi di dischi con diciottomila lire in mano e la ferma convinzione che avremmo trovato il disco più cattivo del mondo. Giuseppe, un piccoletto pieno di brufoli che abitava a pochi metri da casa mia, si presentò una sera con un cd dei Deicide, il cui booklet ritraeva il cantante, tale Glen Benton, con una croce rovesciata incisa a fuoco sulla fronte. Da quel giorno Giuseppe fu Glen Benton (anche se, col senno di poi, sembrerebbe più verosimile il contrario) e tenne testa a tutti, dopo aspre battaglie contro Francesco ed i suoi amatissimi Suffocation, tentativi di spodestamento da parte di Michele ed i suoi blasfemi Impaled Nazarene ed un testa a testa sanguinoso contro Daniele (il padrone di casa) e gli italianissimi Death SS, forti di un nome filo-nazista e di spettacoli live nei quali venivano simulati stupri di suore e mattanze di animali.
Fu una sera dell’ inverno del 1992 che mi presentai a casa di Daniele con in mano una copia di “Slow, Deep and Hard” dei Type O Negative. In un primo momento passai quasi inosservato, poi attirai alcuni sguardi scettici. Il nome della band non faceva paura a nessuno e la copertina era praticamente anonima: niente croci, demoni, organi interni o killer assetati di sangue. Daniele-Steve Sylvester mi osservava stupito, mentre tutti gli altri ridacchiavano imbarazzati.
Ma io mi ero preparato: avevo stampato i testi con le traduzioni in italiano e le avevo distribuite, e avevo allegato una piccola introduzione con la storia di Peter Steele e dei suoi Type O Negative. Peter Ratajczyk, classe 1962, ex poliziotto, ex membro dei trash-corers Carnivore, due metri d’altezza e faccia da psicopatico, fondò i Type O Negative nel 1990, un po’ per passione e un po’ per affrancarsi da quel senso di depressione e negatività che più volte lo aveva spinto a tentare il suicidio.
“Slow, Deep and Hard” vide la luce (si fa per dire) pochi mesi dopo, nel 1991. L’esordio di Steele e compagni è sicuramente uno dei dischi più oscuri, nichilisti, violenti e malvagi della storia della musica. La musica dei Type O Negative è la manifestazione delle zone d’ombra della personalità di Steele, un personaggio disturbato, misogino, aggressivo, frustrato e cinico. Il tratto caratteristico di “Slow, Deep and Hard” è la lucida e sarcastica sincerità con la quale Steele vomita le sue nefandezze dentro il microfono. E quel che è peggio è che la musica, una visionaria bolgia infernale fatta di metal, hardcore, industrial, elettronica e new wave, riesce ad esasperare la follia del suo autore, ad esaltarne il lato auto-distruttivo e crudele. Questo è l’inferno che non si trova nei libri o nei quadri antichi, ma per strada, sui marciapiedi, nelle metropolitane cittadine.
La prima traccia (“Unsuccessfully Copying With The Natural Beauty of Infidelity”) dura quasi tredici minuti ed è divisa in tre parti: la prima (“Anorganic Transmutogenesis (synthetic division)”) inizia con un sibilo minaccioso e sfocia in un assalto metal velocissimo durante il quale Peter Steele mette subito in chiaro la sua prospettiva (“Le sole cose che durano per sempre / sono le memorie ed i dispiaceri”). La seconda parte è decisamente più morbida, con tanto di arpeggio acustico ad accompagnare un amplesso (“Coitus interruptus”) che viene brutalmente interrotto dalla parte finale (“I know you're fucking someone else”), una marcia condotta dalle tastiere e dalle imprecazioni di Steele contro una non meglio identificata “Whore/Slut/Cunt” rea di praticare forme di “freelance gynecology”. Impagabilmente grottesco l’anthem centrale (figlio degenere di una delle grandi passioni di Steele: i Beatles) con il coro che sottolinea le frasi cantate modificandole in terza persona (“I know you're fucking someone else / He knows you're fucking someone else / I said I know / He said he knows”).
“Der Untermensch” è invece divisa in due sezioni: la prima “Socioparasite” offre una splendida introduzione basso/percussioni metalliche, poi da il via ad una progressione fatta di accelerazioni brucianti e pause improvvise. La batteria e le backing vocals ricordano una versione hardcore dei Black Sabbath, mentre Peter Steele decide di togliersi qualche sassolino dagli anfibi (“Hey voi che vi affidate all’assistenza pubblica / perché non vi trovate un lavoro? / Parassiti sociali”), e rincara la dose nella seconda parte del brano (“Waste of Life”), dimostrando un cinismo spietato (oppure un senso della giustizia molto marcato, visti i riferimenti all’evasione fiscale) quando fa rimare “birth defect” con “welfare check”.
“Xero Tolerance” è di nuovo un brano diviso in tre parti. La prima (“Type A: personality disorder”) è un pesante doom-metal simile a certe cose dei primi Cathedral nel quale Steele descrive lo stato d’animo di un uomo in procinto di commettere un omicidio. La seconda parte (“Kill you tonight”), è introdotta da un grido animalesco accompagnato dal suono di un organo (“And now you die!”), e descrive l’omicidio stesso (“Ho un piccone nel bagagliaio della macchina / lo metterò nella molatrice per renderlo più appuntito”). L’intera sezione è un rock asciutto e decisamente grezzo, reso ancora più angosciante da una tastiera wave che accompagna il riff di chitarra e dalla voce cavernosa di Steele che brutalizza le sue corde vocali gridando “I’ll kill you tonight” . La furia omicida di Steele riesce a placarsi solo a delitto avvenuto, quando una melodiosa chitarra acustica (“Love you to death”) ridona respiro agli otto minuti più asfittici della storia del rock.
“Prelude to Agony” è un’altra suite di dodici minuti divisa in quattro sezioni. Dopo un breve preludio doom (“The truth”) caratterizzato dai sospiri infernali di Steele, il brano si trasforma in una riedizione in chiave gotica del sound dei primi Black Sabbath (il riff di chitarra sembra richiamare quello di “Supernaut”). “God love fire woman death” è la dichiarazione d’amore dei Type O Negative per il sesso femminile (“C’è qualche differenza tra le donne ed il fuoco? / Le prime bruciano lo spirito / il secondo brucia la carne”). La terza parte (“Jackhammerape”) è una bolgia trash metal condotta dal batterista Sal Abruscato e introdotta da uno splendido quanto teatrale coro chiesastico. Steele, al culmine dei suoi deliri a base di misoginia e cieca violenza, narra la messa in atto di uno stupro per mezzo di un martello pneumatico, con la doppia aggravante di donare un tono sacro (il coro, appunto) alla spietata narrazione (“Stai morendo / io mi masturbo”) e di sonorizzare impietosamente le grida di dolore (irrilevante) della vittima (“Pain (is irrelevant)”).
“Glass Walls of Limbo (dance mix)” e “The Misinterpretation of Silence and Its Disastrous Consequences" sono due pezzi anomali: il primo è un mantra liturgico che riprende il tema del coro dei monaci ma lo estremizza, tra cigolii sinistri e un ritmo cadenzato come quello di una processione di condannati. Il secondo è semplicemente un minuto di (male interpretato) silenzio.
Sarebbe finita qui, se non fosse che Peter Steele, dopo tante efferatezze, decide di mettere in scena il sacrificio finale: il suo. Il pezzo si chiama “Gravitational Constant: G = 6.67 x 10^-8 cm^3 gm^-1 sec^-2”. Sempre in bilico tra doom metal, cori gotici e un teatrale uso della tastiera, i Type O Negative prendono atto della decisione suicida del loro leader (“Adesso sento il peso del mondo sulla mia schiena / ho visto il futuro / e il futuro è nero") e ne seguono la caduta dovuta alla forza di gravità ("Acceleration (due to gravity) - 980cm^-2 sec”), al peso di una esistenza ingiustificabile (“Unjustifiable existence”). Infine, ne celebrano la morte in “Requiem for a souless man”, una forma di hard-rock sacro e scurissimo nel quale Steele ammette i propri problemi (“Ho un problema / un problema con l’odio / non posso continuare a trascinarmi questo peso”) e preannuncia l’unica soluzione possibile (“Suicide is self expression”).
Giusto per dovere di cronaca: dopo le note finali del coro sacro di “Requiem for a souless man” un silenzio di tomba scese in camera di Danele. Il lettore cd fece ripartire in automatico il fischio iniziale di “Unsuccessfully Copying…”, ma Daniele-Steve Sylvester schiacciò il tasto “stop”, mi guardò esausto e disse solo: “Basta, ti prego”. Francesco-Suffocation, invece, impugnava un coltello da cucina e si guardava intorno con gli occhi sbarrati, ruotando la testa a 180 gradi con la velocità di una civetta. Michele-Impaled Nazarene brandiva un santino della Madonna di Senigallia e, in lacrime, impetrava appelli indecifrabili con lo sguardo piantato sul soffitto. Il povero Giuseppe-Glen Benton non l’abbiamo mai più visto. Anzi colgo l’occasione per lanciare un appello. Se incontrante un piccoletto pieno di brufoli e con una croce rovesciata mezza cancellata sulla fronte, fatemi sapere. Come fate a riconoscerlo? Avvicinatelo e ditegli solamente: Peter Steele.
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