Ufomammut
Idolum
Salvarvi dallincubo degli Ufomammut non vi servirà a niente. Presto ritornerà alla carica, e voi soccomberete. Prima o poi.
La spirale magnetica che avvolge il conturbante anacronismo di Idolum, quarta prova sulla lunga distanza per il trio basso/chitarra/batteria di Tortona, è di quelle che stregano ed accalappiano al primo bagliore, alla prima avvisaglia di manifestazione. È unallucinazione che non lascia scampo, e che solo i più intrepidi possono evitare. Per gli altri no, non cè via di fuga: una volta caricato il complesso meccanismo ad orologeria che costituisce il fulcro di questo lavoro, il magma sonoro che ne erutta è micidiale, e la trappola è calibrata per ottenere il massimo risultato, senza margine di errore. Doom metal, prog metal, post-core, psichedelia, stoner metal, lunghe jam session (quasi) strumentali fra Pink Floyd ed Electric Wizard, fra Motorpsycho e Black Sabbath, fra Neurosis e Kyuss, quello dei piemontesi è un delirante ed orgiastico baccanale volutamente irrazionale che dura oramai da otto anni, e che coinvolge i partecipanti in una sfrenata quanto imponente distruzione cerebrale. I bassi si sostituiscono alle sistole e ne diventano il battito, lo scandire, lessenza stessa del movimento: il deflagrare dei delay e dei feedback è la colonna sonora di una cavalcata demoniaca nei gironi dellInferno. Un posto che i Nostri pare conoscano bene (recarsi in via Lucifer Songs, 2006, per ulteriori chiarimenti).
Idolum è come uno tsunami. Arriva, demolisce tutto ciò che si trova sul proprio cammino, e poi si ritira, non senza i disastrosi effetti provocati dal reflusso. I pochi sopravvissuti non fanno in tempo a gioire per la loro abilità, che ecco sopraggiungere unaltra ondata, e poi ancora una, fino a che limpatto non si assesta del tutto. Per terra solo morte, rovine e desolazione.
Quello di Stigma è un assalto allarma bianca tuttaltro che frenetico e convulso, bensì pesante, annebbiato e deciso. Il riff lento e cianotico, contorto ad immagine e somiglianza di monsieur Maynard James Keenan e dei suoi Tool, si prolungherà implacabile per sette minuti, sempre più carico ed effettato, e si trascinerà alle spalle una fila indiana di demoni, tutti saliti in superficie per chiedere ognuno il tributo spirituale spettante. La bolgia si caricherà di calore ed elettricità, a sfogarsi con sempre maggiore gravezza sulla sezione ritmica, ed è solo uno dei numerosi momenti felici che vivrà il disco nel suo dipanarsi.
È col passare del tempo che la chitarra cambia pelle: da profonda e polverosa compagna di viaggio si trasforma in mostro deltoide, luciferino, supera la sua essenza per andare a darsi la morte in uno sfrigolio di riverberi e feedback sempre più ronzante ed insistente. Hellectric è come un muro che separa lIo dallEs e ne circoncide violentemente ambe le estremità. Una sega circolare che apre il cranio, pian piano, a ritmo ossessivo, con anse piene e sinuose, e conclude il tutto con un terribile delirio chitarristico, un maelstrom tonante che assorbe la psichedelia canterburiana e la vomita con veemenza, mal digesta e tutta sbertucciata. Doom ponderoso e martellante, dove le parole, se non filtrate in lontananza, non servono.
Larma più letale è quella che non si rivela tale fino al momento cruciale. Ed è proprio vero, pensiamo, almeno mentre scorrono le note di Ammonia, dove la voce argentina di Rose Kemp, ospite illustre, si specchia in un contrappunto strumentale nero come la pece e nemmeno irretito dal fuoco dello stoner. Un vero e proprio funerale elettrico, con la beffa di avere una bassissima illuminazione. Un lamento perpetuo, metaforizzato dallo stridio finale dei synth, che non trova e non può trovare rapida consolazione.
Ma gli Ufomammut paiono ricordarsi, a questo punto, di essere qui per qualcosa, e di volerlo perseguire fino alla fine. Il caos della follia.
E quindi giù, di nuovo, senza pietà, senza pausa, senza umanità, a macinare accordo su accordo, ad erigere barriere di suono che sinfrangono contro altre barricate ancora e sempre più alte, a caricare dintensità vibrante il basso, che striscia, e morde. Destroyer pianta le unghie sullepidermide e penetra in profondità, con un sadismo ed un raro senso di feelings-less che soli possono appartenere dagli Electric Wizard di Dopethrone. Chitarre che mulinano e pestano, non un raggio di luce che penetra attraverso le maglie di questi quattro minuti, unarmonia che si attorciglia, si sfalda, diventa rumore, mistificazione, estasi, di nuovo canzone, e poi essenziale brutalità, in una chiusura semplice ma di grandissimo effetto.
E non preoccupatevi troppo per quella durata da capogiro racchiusa dalla conclusiva Void/Elephantom. Più che musica, uno stato di coscienza. Un viaggio interstellare che vi ricorderete a lungo, dove i King Crimson di Moonchild si uniscono spiritualmente con i Floyd di A Saucerful Of Secrets, in una dimensione astratta e politicizzata, pregna dellinquietudine ansiosa dellhardcore. Elementi più che validi, questi, per dichiarare Idolum fra i migliori dischi del 2008.
Certo, salvarvi dallincubo degli Ufomammut non vi servirà a niente.
Ma chi, oramai, non è disposto a correre il rischio?
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