The World is a Beautiful Place & I Am No Longer Afraid to Die
Between Bodies
A meno di un anno dal folgorante debutto su LP, tornano sulla scena i The World is a Beautiful Place & I Am No Longer Afraid to Die, con l'EP "Betweeen Bodies".
La mia attesa era non dico spasmodica, ma sicuramente eccitata, perché dopo il grande lavoro del 2013 mi attendevo il definitivo salto di qualità.
Viste le premesse, non nascondo una certa delusione: la band del Midwest con questo EP sembra prendersi troppo sul serio e annacqua le avvincenti, roteanti composizioni di "Whenever, If Ever" in brani improntati in direzione "post", con tanto di spoken poetry chiamata a prendersi il ruolo prima riservato a dolenti, accorate melodie (nella miglior tradizione emo).
Il primo brano incarna alla perfezione questa sorta di regresso: 7 minuti abbondanti di post-rock dilatato e granuloso che dice poco di nuovo, nonostante cerchi di definire un'epica grandeur emotiva che invece continua - dal mio punto di vista - a sfuggirgli di mano. Non c'è più una vera melodia, ma solo una ampollosa declamazione che lascia poco-nulla in termini di impatto, ovvero proprio in quel terreno di caccia "emotivo" dove l'emo-core dovrebbe giocare in casa.
I brani successivi sono più brevi (oscillano fra i 4 minuti e i due minuti scarsi) e abbozzano spunti melodici lievemente più ispirati, nonostante le trame sonore (con tanto di note sparse di tromba) siano meno dense e toccanti rispetto a quelle di un anno fa.
La sovrapposizione dei vari piani vocali funziona solo a metà: ad esempio, "Space Exploration" vede un coro enfatico ma un po' cantilenante contrapposto a una voce che si limita a parlare, mentre la breve "Lioness" è noise-rock spinto ma che a conti fatti lascia veramente poco. Il brano più quadrato è la tagliente "If and When I Die", non a caso il pezzo più simile alle frastagliate invenzioni del primo album e l'unico pezzo che mi sento di definire veramente bello.
Concludo con un pizzico di amarezza: questo non può certo definirsi come un disco brutto, ma è penalizzato da una certa monotonia di fondo e da un evidente calo di ispirazione in termini di songwriting che rappresentano una pericolosa involuzione.
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