Fast Animals And Slow Kids
Hybris
Quanto può essere divertente una verità terribile? Quanta inconcepibile gioia può sgorgare da una realtà profondamente dolorosa? Zero dite? Allora dovete provare Hybris. Con tutto il rispetto e la stima per i matti, un disco pazzesco. Uno di quelli ascolti che ti piombano in piena fronte come un machete, proprio nel momento in cui quello che ti servirebbe è una botta in testa. Lelettrochoc non deve propriamente costituire unesperienza dolcissima, eppure, sai, ti salva la vita, qualche volta. E allora perché nascondersi dietro gli ornamenti barocchi di una menzogna, quando puoi addobbare la realtà alla maniera dei Fast Animals and Slow Kids?
Perugini di nascita, i FASK esordiscono sulla lunga distanza nel 2011 con il promettente Cavalli, album non esattamente facile e ancora piuttosto scalcinato, prodotto e pubblicato da Appino degli Zen Circus. Una tappa fondamentale, comunque, che ha condotto questanno alla chirurgica quadratura del cerchio: Hybris non è solamente, per fortuna, un album bellissimo, ma unautentica anomalia per lemocore italiano. Qui non esiste coerenza umorale tra testi e musica, anzi, a risultarne enfatizzate sono le discrepanze, in un affresco di storture abominevoli e sguaiate che, alla fine dei conti, comunica cristallino godimento.
Dietro una copertina bellissima e importante, sorta di omaggio ai Neutral Milk Hotel, ricca di simbolismi celati allinterno delle canzoni, e sotto legida di un titolo colto Hybris sta per oltraggio agli dei prende vita unopera in undici fasi che potrebbe essere definita concettuale se non fosse così divertente, urlata, sguaiata, al limite dellassurdo. Una storia di violenza domestica, ad esempio: un cantautore qualsiasi avrebbe trattato il tema con lieve commozione e pochi malinconici giri di chitarra, una band post-rock dilatandone il dolore in mille angosciosi riverberi, un gruppo emo enfatizzandone lo strazio con le grida. Nulla di tutto questo: i FASK in Maria Antonietta ci raccontano il punto di vista del violento sotto forma di filastrocca, terribile e giocosa, sino al finale più bello che cè. Talmente stonato da restare memorabile.
Quello che colpisce, oltre alla peculiarità del canto di Aimone Romizi sempre in bilico tra ubriachezza, dileggio e ironia è il suono delle chitarre, adoperate come bisturi e riconoscibilissimo marchio di fabbrica: ascoltare per credere la prodigiosa Combattere Per LIncertezza, inno generazionale che si tramuta in elettricità danzante (impossibile evitare il contagio), o i singhiozzi di Dove Sei. Come imbandire una tavola con la merda e, per non banchettarvi, renderla per lo meno divertente ribaltandone tovaglia e contenuto per la stanza: è questo il senso dei continui cambi di ritmo Calce, che nel finale ti frana addosso, Canzone Per Un Abete, parte II, le pennellate ora schizzate ora ampollose di Fammi Domande, linvettiva dissonante di Farse e delle liriche, che mutano da sterile latrato a sublime poesia con la nonchalance di un battito di ciglia, spesso fataliste, prive di speranza, al limite dellautolesionismo (A Cosa Ci Serve, sulla fine di tutte le storie, la chiusura di Treno, pacificata sino al gesto estremo).
Qui il segreto dellefficacia e dellunicità di Hybris: il contraltare di ogni dolore sta nella gioia con cui decidi di agghindarlo. Ecco perché è un disco bellissimo: perché dietro una formula orecchiabile e immediatamente riconoscibile, (non) nasconde la verità del disagio, del male di esistere, musicandola invece in maniera totalmente stridente, sboccata, impetuosa, viva.
Erano promettenti, i Fast Animals And Slow Kids: al momento sono inimitabili. Dio (ma non esiste, noi lo sappiamo) ce ne liberi, e li preservi altrove, nel suo oltraggioso olimpo o dentro una bestemmia sguaiata di nome Hybris.
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