R Recensione

2/10

Funeral For a Friend

Tales Don’t Tell Themselves

E’ storia vecchia, un film visto e rivisto: un gruppo di giovani scalmanati pieni di belle speranze sfodera un disco discreto o poco più, che però adeguatamente pompato dai media riesce a ottenere un ottimo impatto popolare. Accade allora che in genere il gruppo passi alle dipendenze di una major e la promettente attitudine dell’esordio viene cancellata per far spazio a un suono più easy listening, commerciale, capace di scalare sì le classifiche di vendita ma anche di intercettare le motivate ingiurie dai critici.

La storia dei Funeral for a Friend si adatta abbastanza bene al modello sopraesposto. Dopo una manciata di prove discrete (Seven ways to scream your name e Casually dressed & deep in conversation, entrambi del 2003) in cui i ragazzi australiani mescolavano hardcore, emo e metal ricorrendo ad un ampio uso dello screamo arriva il passaggio all’Atlantic e il disco del compromesso Hours, segnale evidente di un addolcimento del sound: meno urlacci, meno sfuriate chitarristiche e maggior spazio a melodie pop.

Il fragile equilibrio di Hours viene ora definitivamente rotto da Tales Don’t Tell Themselves: il punk-harcore degli esordi è ormai un ricordo lontano e lascia spazio al limite (ci riferiamo a On for the road) a un bonario college-rock alla Blink 182 appena orecchiabile ma privo di furore. Si salva forse parzialmente solo la tirata Out of reach, la classica eccezione che conferma la regola. L’emo è scomparso, rimane giusto la volontà di imbalsamare gli ascoltatori con pezzi strappalacrime (The sweetest wave) che vorrebbero essere romantici, malinconici e epici ma risultano solo miseramente patetici.

Questa era la parte migliore del disco, il che è tutto dire. Il resto sinceramente è una delle cose più imbarazzanti che si possano ascoltare. Into oblivion per esempio, è un brano che potrebbe essere fatto da un qualsiasi gruppo pop plasticato di Mtv e testimonia la trasformazione definitiva del gruppo in una boy-band rock. Non per niente in On a wire sembra di sentire i Backstreet Boys con appena qualche chitarra accentuata. The great wide open è l’esempio più lampante di un punk falso, tremendamente patinato ,che potrebbe tranquillamente vincere un’ipotetica fiera delle banalità. In generale i riff, le melodie e i vocalizzi insistiti (questi ultimi particolarmente acuti e fastidiosi) suonano tutti come estremamente vecchi e scontati, e il fatto che vengano ripetuti in continuazione nella stessa salsa non aiuta un orecchio ormai sconvolto.

Forse brani come Walk away riusciranno comunque a spopolare presso ragazzine adolescenti ignare dei maestri del punk-rock, ma di certo non basteranno all’ascoltatore medio. A chi scrive non resta che tornare a Casually dressed & deep in conversation: non che fosse poi questo granché, ma almeno suonava onesto.

V Voti

Voto degli utenti: 5,3/10 in media su 4 voti.
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C Commenti

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Marco_Biasio (ha votato 3 questo disco) alle 13:55 del 28 maggio 2007 ha scritto:

...

gerogerigegege alle 17:15 del 28 maggio 2007 ha scritto:

giù grosse!!

a 'sto punto è meglio il liscio di Romagna...

Alessandro Pascale, autore, (ha votato 2 questo disco) alle 0:54 del 11 giugno 2007 ha scritto:

non riesco a capire

se siete d'accordo oppure no

Cmq nel dubbio torno ad ascoltare un vero disco hardcore come si deve: The art of drowning degli AFI. Altro che Funeral for a Friend...

*francesco* (ha votato 8 questo disco) alle 14:21 del 11 giugno 2007 ha scritto:

Mah

Mi lascia perplesso quello che dici, prima i funeral for a friend sono male e poi ascolti gli AFI che sono un icona poser fuori dall'ordinario (non in senso buono) poi hai il coraggio di definirli Punk come i Blink 182...questa definizione mi fa balenare in mente che di musica capisci ben poco perche' tra quello che fanno i Blink 182 e i FFAF c'e' un abisso, non di qualita' ma di stile, a partire dal numero dei musicisti (i FFAF hanno due chitarri i blink ne avevano mezza) ma proprio lo stile che ormai e' facile basta dire "e' emo" x tutto quello che non si sa definire, peccato che proprio prima dell'ondata emo che ha invaso il mondo i GALLESI (ebbene si hai peccato di poca conoscenza pure qui perche' sempre che non sia in australia i FFAF sono gallesi) con History si sono definitivamente lasciati alle spalle un genere per passare a qualcosa di piu' maturo,e a dire il vero ai primi ascolti (cosa che secondo me tu non hai fatto nemmeno) il disco suona strano ma poi il loro stile anche se molto piu' pacato (e qua mi scappa da ridere per il paragone con i blink 182, ma si puo?!) e' il loro che francamente o piace o no ma non e' simile a niente altro..si avvicina ma una loro canzone la distingui sempre da una di qualsiasi gruppetto screamo...comunque vado contro corrente e 4 stelline le do a questo..

Alessandro Pascale, autore, (ha votato 2 questo disco) alle 15:27 del 11 luglio 2007 ha scritto:

RE: Mah

allora qui nessuno ha detto che i FFAF sono il male. Si è detto solo che il primo disco era discreto, il secondo insufficiente e questo imbarazzante. Detto questo i paragoni con Blink e AFI sono solo indicatori, nonostante ciò resto convinto che di abisso si possa parlare fino a un certo punto, che non stiamo mica parlando di jazz e metal...

Sul fatto che sono gallesi MEA MAXIMA CULPA. Non so dove posso aver letto che sono australiani cmq ammetto di non aver controllato adeguatamente le informazioni biografiche.

Sul fatto che tu ci veda uno stile più maturo in questo disco (che assicuro di aver ascoltato più volte; non ascolto mai un disco meno di tre volte prima di recensirlo) mi trovi in pesante disaccordo. Che si siano lasciati alle spalle un genere (emo-hardcore screamo, per quanto la definizione possa permettere) siamo tutti d'accordo, però se l'approdo era questo pop insignificante per le masse femminili allora era meglio andare a lavorare. E francamente spero che nessun altro si avvicini a questo loro "stile peculiare" "molto più pacato". Sarebbe la morte non solo del mondo punk-hardcore ma dell'intera musica.

defsna81 (ha votato 8 questo disco) alle 12:48 del 16 febbraio 2009 ha scritto:

concordo con FRANCESCO

TALES TELL DON'T TELL THEMSELVES

è

un Concept-Album incentrato sulla storia di un marinaio e le sue disavventure.

La band stessa in ogni intervista ha ammesso e spiegato il perchè di questo andamento così lineare e riflessivo dei brani ( o come dice giustamente Francesco "pacato")

gerogerigegege alle 18:13 del 11 luglio 2007 ha scritto:

; 0

quoto Pleasy in pieno...vabbè che i gusti sono gusti, ma insomma...

diobo mi ricordo che si tacciavano i Saves the day come musica per ragazzine, a sto punto questi che roba sono allora??

francesco ascoltati i Gorilla Biscuits, o gli Yuppicide, vedrai che ti sentirai, come dire, più rinfrancato dai tuoi languori screamo.