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R Recensione

8/10

Agalloch

Marrow of the Spirit

Gli Agalloch arrivano al traguardo del quarto album con un hype sempre maggiore nei loro confronti. I 4 hanno rilasciato un esiguo numero di album rapportati ai 15 anni di carriera della band e (nonostante l'uscita di svariati EP e singoli) ogni loro nuova uscita è un evento, vista l'impossibilità per il quartetto di adagiarsi sugli allori e riciclare sempre la stessa formula e soprattutto per l'alta qualità dei lavori pubblicati.

E la cosa non cambia neanche con Marrow of the Spirit: a 4 anni dall'acclamato Ashes Against the Grain, che aveva spostato le coordinate stilistiche verso un metal doomished, epico e con molte influenze post rock, e a 2 da The White EP, che abbandonava il metal per ributtarsi in atmosfere ambient e neo-folk, abbiamo un'ulteriore svolta nel sound, trovandoci tra le mani l'album più oscuro, potente e drammatico finora pubblicato. A John Haughm (voce e chitarra), Don Anderson (chitarra) e Jason W. Walton (basso) si è aggiunto il batterista Aesop Dekker, che ha datto un ulteriore contributo al cambio di atmosfera dell'album.

Come dalla stessa band ammesso, "Ashes Against the Grain" godeva di una produzione fin troppo pulita e levigata; per questo la registrazione di quest'album è stata compiuta interamente in analogico, il che ha ricoperto di una patina più ruvida e sporca il suono degli strumenti. A tutto questo si aggiungono scelte stilistiche ben precise, come la quasi totale assenza di momenti acustici predominanti e di clean vocals, caratteristiche che invece avevano reso unico nel suo genere The Mantle.

Osservando la tracklist si può notare come tutti i brani abbiano un minutaggio elevato, ma le varie sezioni di cui sono composti si susseguono in modo estremamente fluido, senza momenti morti o inutili.

L'album si apre con il fluire dell'acqua in un fiume, e il triste suono del violoncello, che è l'assoluto protagonista di They Escaped the Weight of Darkness, che ci introduce all'atmosfera generale dell'album, sofferente e drammatica. Dei secchi colpi di batteria spiazzano quest'atmosfera, gettandoci nel turbine di Into the Painted Gray, brano di una potenza e velocità inaudita, almeno per i livelli del gruppo, che sfodera riff e parti di batteria quasi black metal, come non si sentiva dai tempi della prima demo del 1997. Tutto ciò non fa che amplificare le sensazioni espresse dal testo; sentire Haughm urlare a pieni polmoni "How long shall I suffer here?" dona brividi lungo la spina dorsale, e impreziosisce questo tiratissimo brano. The Watcher's Monolith e Ghosts of the Midwinter Fires sono forse i brani più vicini al passato: mentre la prima vede una maggiore presenza della chitarra acustica, avvolgenti tastiere settantiane e una fantastica parte finale che inscena un duetto tra il cantato di Haughm e la chitarra di Anderson, la seconda potrebbe provenire direttamente da "Pale Folklore" (l'intro di chitarra ricorda The Melancholy Spirit, presente proprio in quell'album); è forse il brano che più difficilmente rimane impresso, anche perchè schiacciato tra i 2 momenti più convincenti del platter. Il fiume dell'introduzione arriva al lago maledetto, Black Lake Nidstång. Il protagonista assoluto e Haughm, che mette in mostra il suo sussurro nella prima strofa, e ci consegna una prestazione vocale estremamente sofferente e teatrale nella seconda, un lamento denso di disperazione che assume una dimensione universale e ultraterrena; tutto ciò su un sottofondo musicale epico e solenne, quasi Morriconiano, che cambia registro nella seconda parte del brano, più calma e sognante, prima dell'esplosione rabbiosa del finale. To Drown chiude in modo ciclico il lavoro riprendendo il tema dell'intro: è un semi-strumentale ancora una volta molto aricolato, con i riff post rock che si accompagnano ai violini e alle percussioni per formare un crescendo epico, che sfocia in un finale noise e dissonante (un po' come era già accaduto con The Grain nel precedente album), finchè non giungiamo al termine del viaggio, con il fiume che sfocia nelle rilassanti onde del mare.

L'unica pecca di questo Marrow of the Spirit è forse l'essere meno dirompente e sensazionale dei 2 precedenti lavori, ma è un'altra prova maiuscola per la band, che si conferma una delle realtà più interessanti e meritevoli del panorama metal più "open minded".

 

They escaped the weight of darkness

To forge a path into

The marrow of the spirit

They chose to drown

In a deeper vacancy

An emptyness

That quells the null

A pool

For the forgotten

They escaped the weight of darkness

To drown

In another...

V Voti

Voto degli utenti: 6,1/10 in media su 4 voti.
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