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R Recensione

7/10

Agoraphobic Nosebleed

Agorapocalypse

Sibilino gli orologi e il nutrito banco di teocon sempre all’erta: il conto alla rovescia, partito nel 2003 con “Altered States Of America”, è scaduto. Come ad un segnale preciso, le gabbie si sono riaperte, ed ecco i brutti ceffi usciti fuori (meno brutti di prima: alla congrega si è aggiunta una fanciulla dal viso dolce e dalla voce ruggente, Katherine Katz) che si stringono ancora una volta in capannello per riempire di calci nel posteriore Matrigna America. Ladies and gentlemen, possiamo dunque dirlo con soddisfazione – e un briciolo di timore –: gli Agoraphobic Nosebleed sono tornati fra noi.  

Annunciato dal brevissimo EP “The Glue That Binds Us” (citazione napalmdeathiana, manco a dirlo, distorta) del quale, fra parentesi, non vi si trova traccia fra questi solchi, “Agorapocalypse” segna un’importante svolta nel vicolo cieco di bieca distruttività e decostruzione sonora autoimpostesi dal quartetto del Massachusetts. Già a guardare la tracklist c’è di che rimanere, se non proprio sgomenti, almeno stupefatti: appena tredici brani in scaletta, con durata complessiva sotto la mezz’ora. È chiaro e palese l’approccio maggiormente elaborato alla struttura di ogni singolo pezzo, tenendo conto l’allucinante equazione del predecessore che, per un minutaggio inferiore ai venti minuti, schierava l’assurdità di novantanove piccole schegge di disumana ferocità. Ergo, secondo la proprietà della traslazione, dovremmo perciò intuire anche come il sordo e compulsivo cybergrind di qualche anno fa si sia plasmato ad immagine e somiglianza di qualcosa con una nervatura maggiormente testabile ed, altresì, inseribile in più contesti, senza per questo snaturarne creazione e scopo. Che, badate bene, al fin della fiera rimane sempre lo stesso: come direbbe l’Attila più famoso del cineschermo italiano, viulenza.  

Ed ecco che, finalmente, anche la prova sonora corrobora le nostre illazioni sopra riportate. Credo che nessuno si possa aspettare una completa metamorfosi di suono ed attitude del gruppo sebbene, doveroso sottolinearlo, le liriche cedono meno alla demenzialità sadica e perversa che tanto li aveva caratterizzati in passato (“Dick To Mouth Resuscitation”) e puntano più su una critica egualmente potente, ma più seria ed elucubrata. In realtà, mantenuta la drum machine come valido supporto ritmico – riducendone, tuttavia, le sfrenate velocità che bruciavano “Altered States Of America” – la novità rilevante è costituita dall’impianto strumentale. Riff, cadenze, sviluppi, tutto è riconducibile al thrash metal marchio Slayer, al primo grind e, in alcuni frangenti, ad un suono anche più fresco e moderno, che assorbe tanto dal metalcore quanto dall’hardcore new school. Sentirsi, per credere, i fulmini che piegano in due “Timelord Zero (Chronovore)”, dissestata da stop&go ed accelerazioni stranianti, le brutali grandinate che tempestano “Moral Distortion” (e costei sarebbe Katherine Katz? Pazzesco!) e l’andamento zigzagante, con chitarre che segano qui e lì, di “Trauma Queen”.  

Effetti, crudezza, un martellare continuo e per questo spettacolare, ma anche una maggiore attenzione alle acquietanze, estremamente numerose ed incisive – pensiamo all’agonia di “First National Stem Cell And Clone”, che furente sembra addormentarsi e con altrettanta rabbia si ridesta d’improvviso – ed una cura generale verso un tentativo, quasi impossibile, di poliritmia e policromatismo chitarristico (i mezzi toni sludge di “Hung From The Rising Sun” e “Question Of Integrity”) portano poi ad una doppietta finale che, in poco più di tre minuti, riassume perfettamente dieci e più anni di onorata carriera: “Ex-Cop” sminuzza con fare nevrastenico, “Flamingo Snuff” rielabora acidamente, smembrando post litteram, ad urla ed assoli, ciò che resta della forma/canzone. In mezzo, fra gli Agoraphobic Nosebleed che furono ed in parte sono ancora, quelli che saranno, con una perla come “White On White Crime” degna di essere ricordata, nella cacofonia generale.  

It’s Agorapocalypse, protect yourselves.

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