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R Recensione

6/10

Motörhead

Bad Magic

Scrivere di “Bad Magic”, ventiduesimo disco in studio dei Motörhead, in questi giorni così difficili e tumultuosi per Lemmy, ha il sapore della sfida ed il retrogusto dell’azzardo. Quando leggerete questo pugno di righe potrebbe già essere troppo tardi: le ultimissime breaking news riferiscono di un lasciapassare dei medici per l’esibizione della band a Saint Louis, Missouri, dopo che una millantata infezione polmonare ha costretto il leader e bassista della band (settant’anni, almeno speriamo, il prossimo 24 dicembre) a tagliare dopo quattro pezzi lo show di Salt Lake City (27/8), ad annullare quello di Denver (28/8), ad interrompere tempestivamente quello di Austin (1/9). Se siete die hard fans dei tre vecchietti inglesi, evitate di correre su YouTube per rivivere lo spettacolo straziante di quest’ultima data: vi si potrebbe spezzare il cuore. Lemmy che fa cenno di non riuscire ad andare avanti, Phil Campbell e Mikkey Dee che si defilano mestamente, la nutrita folla che invoca inutilmente un ritorno sul palco: poi ancora Kilmister, in evidente difficoltà, sorretto da un bastone, che biascica affranto al microfono “I can’t” profondendosi in mille scuse, l’una più dolorosa dell’altra.

La cronaca nera dell’ultimo lustro di musica pesante è ricolma di rumors su Lemmy. Al che viene spontaneo ripercorrere – in una sorta di istantaneo paragone mentale – le recenti dichiarazioni di Tony Iommi, interrogato sul tour di addio dei Black Sabbath a supporto del loro prossimo, ed ultimo, full length (previsto per metà 2016): “I can’t actually do this anymore. My body won’t take it much more. I don’t want that creeping back again [si riferisce al linfoma diagnosticatogli nel 2012 e, pare, oggi definitivamente sconfitto, NdR], and all the travelling involved in Sabbath tours increasingly takes its toll. That’s why we’re going out on one last tour, to say our farewells. And then it very definitely is the end. We won’t be doing it again. [...] We’ve been doing this for getting on for 50 years now. It’s about time we draw the line, don’t you think? It’s been great but it’s time to stop now”. Da una parte c’è il migliore riffmaker metal della storia che, di fronte alle proprie umane debolezze, riconosce la saggezza di non oltrepassare il limite. Dall’altra c’è un animale da palcoscenico che preferisce morire anziché mollare: “Victory Or Die”, come vigorosamente riaffermato nel solidissimo hard’n’heavy d’apertura. Facile, dalle nostre posizioni, dire che l’uno ha ragione, l’altro ha torto. Nessuno di noi ha suonato continuativamente per cinquant’anni, in ogni condizione fisica e psichica, in giro per il mondo: nessuno di noi può capire, fino in fondo, cosa spinga Iommi e Lemmy a dichiarazioni così antitetiche.

2015 significa, per i Motörhead, quarantennale, come orgogliosamente esibito sulla copertina tutta teschi e cimeli bellici di “Bad Magic”. Appena dieci anni fa, i festeggiamenti in casa Kilmister avrebbero assunto ben altre proporzioni: la band era reduce dal suo miglior disco del Nuovo Millennio, “Inferno”, e si preparava a scriverne un altro poco meno che ottimo, “Kiss Of Death”. Oggi, invece, è difficile giudicare l’effettiva qualità di un platter che – venuta meno l’autonomia e la tenuta fisica complessiva del trio – è stato sicuramente scritto confidando nel buio confessionale dello studio di registrazione, in grado di emendare le pecche e di riempire i vuoti. Si ha costantemente l’impressione di giudicare una riproduzione museale, un oggetto alla fin fine inesistente: ma tale è pur sempre il compito, ingrato, del recensore. Allora diciamo così: dato per scontato che, come affermava Hank Shteamer di Pitchfork parlando del precedente “Aftershock”, “the measure of a Motörhead LP isn’t the wealth of fresh information it provides; it's how well the release encapsulates the band’s quintessential sound” e che, sì, Lemmy e soci scrivono sempre la stessa canzone (come gli AC/DC, ma quella dei fratelli Young è brutta), “Bad Magic” è un disco di assoluta e cristallina dignità.

A voler questionare sul sesso degli angeli, potremmo mettere in rilievo la maggior preponderanza della componente blues nella miscela dei brani, tendenza già inaugurata con “Aftershock”: “Fire Storm Hotel” (con passaggi per solo basso che, mon Dieu, se non è punk questo cosa lo è al mondo?), le Valchirie tutte in fuga sotto i colpi di “Teach Them How To Bleed” (chiusura esplicativa), la semplice rock ballad in A- di “Till The End”, una “Thunder & Lightning” che si propone come nuova “Ace Of Spades”, l’invidiabile linearità di “Electricity”… Tre semplici variazioni al copione (e non stiamo parlando di Brian May ospite solista sul modesto hard rock di “The Devil”) meritano l’ascolto: la voce di Lemmy che si inabissa nel ritornello di “Evil Eye” (un colpo di classe tanto semplice quanto efficace: il thrash e il doom che si guardano in cagnesco), il catarro acido à la “Orgasmatron” di “Choking On Your Screams” (repetita iuvant: Matt Pike prenda appunti in silenzio contemplativo) e, soprattutto, la straordinaria cover heavy, ruvida e maleducatissima di “Sympathy For The Devil” dei Rolling Stones, la prima dalla “Whiplash” del sopraccitato “Kiss Of Death”.

Per quanto ci riguarda, basta e avanza. Solo un appunto: non abbiamo alcuna intenzione di celebrare il funerale dei Motörhead con questo “Bad Magic”. Per cui, Lemmy, scaramanzia a parte, cerca di riguardarti, che ci devi regalare ancora tanti dischi!

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Paolo Nuzzi alle 9:07 del 9 settembre 2015 ha scritto:

Parole sante. Lemmy is here to stay, anche se ha tirato un po' troppo la corda con la sua (precaria) salute, quarant'anni di droga, alcool e puttane iniziano a presentare un salatissimo conto. Lo ascolterò, come faccio per ogni disco dei Motorhead, sempre fedeli a se stessi forse ripetitivi, ma sempre potenti e granitici e con un' ispirazione ed una voglia di fare sempre all'altezza della situazione. Bravo Marco