V Video

R Recensione

8/10

Alter Bridge

AB III

In un panorama in cui buona parte degli artisti sono tanto devoti al Dio Denaro, fortunatamente c’è ancora qualcuno che scrive musica con la M maiuscola e che allo stesso tempo non sia dedicata ad una nicchia di pochi eletti. I misconosciuti Alter Bridge nascono nel 2004, dalle ceneri dei Creed. Mark Tremonti, Scott Philips e Brian Marshall, orfani del cantante Scott Stapp, decidono di dedicarsi a qualcosa che faccia esprimere al meglio le loro passioni musicali e scovano una voce versatile e carismatica, Myles Kennedy (ex Mayfield Four), cantante con un’estensione vocale di quattro ottave. Dopo l’ottimo esordio del 2004, “One Day Remains”, tre anni dopo gli statunitensi sfornano “Blackbird”, il loro capolavoro, che li porta ad un discreto e meritato successo.

Sei anni sono passati da quell’ottimo esordio e questa volta il compito dei Bridge non è semplice come sembra. Confermare tutto ciò che di positivo c’è stato, senza però cadere nel ripetitivo, nella noia non è affatto un compito semplice, soprattutto dopo un album come “Blackbird”. In barba a tutti i dubbi e gli scetticismi i quattro, fanno centro ancora una volta, tirando fuori un lavoro superiore all’album di esordio sotto tutti i punti di vista. Il confronto con “Blackbird” è forse più complicato da intraprendere.

Innanzitutto, rispetto all’album precedente, vediamo un’influenza sempre maggiore di Kennedy, il quale, praticamente assente nel 2004, sta ormai prendendo le redini della band, portando il sound verso lidi sempre più oscuri e tristi. Ciò non esclude il solito, egregio lavoro di Tremonti, che, sebbene abbia ridotto gli assoli, si presenta in versione schiacciasassi per praticamente tutta la durata dell’album con riff tra i più violenti mai scritti. Ovviamente non mancano le parti melodiche che sempre hanno caratterizzato i lavori della band, ma purtroppo (o per fortuna) sono presenti in minor misura, senza ballate a-là “Watch Over You”. Insomma, il sound di fondo è quello caratteristo della band, ma buona parte degli elementi musicali vengono riveduti, le sensazioni oscure amplificate, Kennedy alla voce sale sempre più in alto, gettando forse un’immeritata ombra sull’egregio lavoro alla rullante batteria di Philips e al basso di Marshall, onnipresenti anche loro.

Venendo alle canzoni, “AB III” è un dialogo tra un uomo distrutto, senza più speranza  e che deve sopportare diverse perdite e privazioni e una persona che prova a rassicurarlo, tendendogli una mano (sensazioni di “Blackbird” amplificate, avevamo detto) .

L’introduzione è affidata ad un Kennedy come non l’avevamo mai sentito, che per il primo minuto di “Slip To The Void” sussurra frasi angosciose e ammonitorie (“You should never come this way, to test the hands of Fate, you don’t belong here”). Tremonti si fa strada con uno dei sui classici riff e il cantante riattacca, quasi urlando, dando a tutto il pezzo un ritmo sostenuto. “Isolation”, primo singolo estratto, è la canzone più veloce nell’album, potente e struggente, in pieno stile Alter Bridge. Con “Ghost Of Days Gone By”, ci trasferiamo verso lidi più calmi, arrivano i primi segni di rassegnazione (“Yesterday is gone. Do you ever cry for the ghost of days gone by?”). La canzone esplode però nel bridge, con un riff estrapolato da un altro contesto. Con “All Hope Is Gone” torna l’atmosfera angosciosa. È un brano lento, sostenuto da riff triste e oscuro, con un bridge pesante e esplosivo. Arriviamo dunque a “Still Remains”, ovvero gli Alter Bridge nella loro componente più metal. Tremonti se ne esce con un riff che farà deflagrare gli impianti stereo di tutti gli assidui ascoltatori della band e che sostiene tutto un brano tiratissimo. In tour farà impazzire. Passando per “Make It Right”, brano senza troppe pretese, si arriva a “Wonderful Life”. Dopo “In Loving Memory” e il loro capolavoro “Blackbird”, i quattro decidono anche questa volta di scrivere una canzone in memoria di qualcuno. “Wonderful Life”, sembra proprio un incrocio tra la dolcezza di “In Loving Memory” e la mastodontica title-track del secondo album. Arpeggio dolce e testo triste e toccante, che oltre a disperare per la perdita di qualcuno, ricorda i bei momenti avuti insieme. Insomma, una ballata sostenuta come solo i nostri quattro sanno fare.

La traccia successiva, “I Know It Hurts”, è una delle migliori del lotto, con un riff veloce, possente e coinvolgente che accompagna anche il ritornello. Si ritorna subito in atmosfere oscure e negative con “Show Me A Sign”, un tipico brano del quartetto che esplode nel ritornello. “Fallout” è un brano diverso, sempre oscuro, ma più sostenuto, che ricorda poco di quanto fatto fino ad ora dalla band. Passando per “Breath Again, forse la canzone più anonima dell’album, si arriva alla più oscura e negativa, oltre che una delle più pesanti, “Coeur D’Alene”. Riff potente e funerario, in pieno stile Tremonti, che sostiene le strofe e si apre nel ritornello. Un tipico assolo conclude il brano. L’ultimo urlo di salvezza, la mano protesa per aiutare è “Life Must Go On”, una ballata dolce e speranzosa con una voce che urla “Ti sei perso, ma è tutto a posto. Le tragedie succedono, ma la vita continua”. Il gran finale viene affidato a “Words Darker Than Their Wings”, il prototipo di canzone degli Alter Bridge. Intro affidata ad un arpeggio opprimente, è un dialogo tra Kennedy e Tremonti sulla fiducia. Il finale ricorda un po’ troppo quello di “Blackbird” (che è comunque due spanne sopra), ma non è questo a danneggiare la struggente chitarra, su cui si appoggiano le urla disperate di Kennedy, che ci conducono verso la fine dell’ascolto.

Gli Alter Bridge fanno un altro grosso passo avanti verso la notorietà con un album a tratti potente e a tratti dolce, toccante, con atmosfere sempre più oscure. I fan possono stare tranquilli, non ci saranno brutte sorprese dal loro sound, almeno per un po’ di tempo. Da segnalare l'incredibile voce di Myles Kennedy, che ancora una volta si rende protagonista di una prova stratosferica in ogni singola traccia.

Unica piccola pecca è forse la durata un po’ troppo elevata, che ad un orecchio poco abituato potrebbe far giudicare l’album leggermente pesante e monotono. Ma si sa, i capolavori come “Blackbird” riescono solo una volta.

V Voti

Voto degli utenti: 6,8/10 in media su 4 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
gigino 8/10

C Commenti

Ci sono 6 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

PierPaolo alle 15:03 del 6 gennaio 2012 ha scritto:

Recensione impeccabile. trovo i tre album degli Alter Bridge più o meno dello stesso, ottimo, livello. Quello che manca ancora, e spero che presto arrivi, è il capolavoro, l'opera ispirata dall'inizio alla fine con doppia, tripla dose di melodie intriganti, ritmiche potentissime, cantati lancinanti, assoli intelligenti. Speriamo... sono i migliori nel rock duro, ma ancora non memorabili.

Marco_Biasio alle 19:50 del 6 gennaio 2012 ha scritto:

Li ho persi completamente di vista dopo il (buon) "One Day Remains". Ho sentito dire che dal vivo sono molto calati nel rendimento, comunque.

ozzy(d) (ha votato 4 questo disco) alle 22:04 del 6 gennaio 2012 ha scritto:

mai amati, alle mie orecchie suonano come un incrocio tra i metallica del black album e il postgrunge più becero e tamarro ( creed, nickelback).

Mattia92, autore, alle 13:31 del 7 gennaio 2012 ha scritto:

@Pierpaolo: D'accordissimo con tutto ciò che hai detto

@Marco: Io li ho visti due volte nell'ultimo anno e mezzo e mi hanno davvero sorpreso per l'energia che riescono a metterci. L'unica cosa negativa forse è il minore con il pubblico rispetto a prima, ma gli Alter Birdge sono quelli che si trattengono anche più di un'ora di fianco al bus dopo il concerto per fare foto e autografi a tutti. Poi vabbè, Myles Kennedy per quanto mi riguarda è sempre impeccabile, sia con gli AB che con Slash...

gigino (ha votato 8 questo disco) alle 13:30 del 14 gennaio 2012 ha scritto:

grandi

Gli Alter Bridge sono una delle poche band indie nello spirito, ma che fanno musica per tutti. Davvero un grande gruppo che meriterebbe fama maggiore.

Stranamente, personalmente considero "Blackbird" al terzo posto dei tre album fin'ora pubblicati...

bill_carson (ha votato 6,5 questo disco) alle 17:59 del 17 agosto 2013 ha scritto:

retorici sì, ma solidi e competenti. onesti. compensano la carenza di quel pizzico di talento che fa davvero la differenza con la cura estrema che prestano alla struttura e all'arrangiamento dei brani.