Blues Pills
Blues Pills
Dà da pensare che la next big thing rock targata 2014 sia, ancora una volta, unaccolita cosmopolita di giovani e giovanissimi con base a Örebro, terra di valvolari vintage e quartier generale di stagioni floreali mai realmente obliate, ed il loro acclamatissimo disco desordio un sunto della migliore musica ascoltata da rispettivi padri e madri (o forse sono già nonni?), tanto fresco quanto facilmente prestabile alla standardizzazione. Esaurita da tempo, con buona pace di Pitchfork, la fascinazione per il revival indie rock e per la new new wave dOltremanica, chi cerca il fenomeno del momento sa benissimo quanto possa essere sconveniente far rotolare le lancette del proprio orologio interiore oltre il 1974: giacché lì è completamente unaltra estetica, unaltra visione. Qui si parla, invece, di morbidi blues, di psichedelia per Hammond, di sferzate hard rock, di carboncini soul incisi sulle porte dellanima, di roba che nella Svezia dei Witchcraft di Magnus Pelander, per dire, se ne sente e se ne conosce a bizzeffe: passatismo e passione (condivisione, incidentale ma significativa, della stessa radice).
Se il disco che i Blues Pills non hanno mai ascoltato è il coetaneo Nevermind (unica concessione alla quickness war, la poderosa scossa di Devil Man, paradossalmente accostabile ai Dead Weather), sè pur certi che non avranno lesinato le immersioni in Wheels Of Fire, Led Zeppelin II e Are You Experienced?: dal canto suo, la potente voce della graziosa bionda Elin Larsson deve sicuramente più di qualcosa allestensione di Janis Joplin. I dieci brani dellomonimo first act, poi, sono sovrapponibili ad un numero incalcolabile di complessi attivi nel passato prossimo: umilmente, suggeriamo per affinità di scrittura gli Assemble Head In Sunburst Sound, i brani corali dei Dead Meadow, alcune tra le più recenti evoluzioni dei Black Mountain. Dal canto loro, i quattro svedesi scrivono, suonano ed arrangiano mediamente bene: ottima, ad esempio, larringa in crescendo di Black Smoke, con duello chitarristico quasi prog, di un altro livello la Woodstock in vitro di Gypsy (con torride slide e ritornello urlato a pieni polmoni), semplice e classico ma terribilmente efficace lrnb di High Class Woman, ricolmo di quei lick che così peculiare resero il tocco di John Cipollina. Meno convincenti, alle orecchie di chi scrive, i segmenti lenti: River arranca, tra blues crepuscolare e surf tarantiniano, Little Sun è una ballad senza guizzi, mentre il buon lavoro delle sei corde sul singolo di lancio No Hope Left For Me non riesce a nobilitare la sentita, ma banale, conduzione vocale di Elin.
Chissà se fra qualche anno, nel turbinare dei dati e nel flusso inarrestabile delle informazioni, ci ricorderemo ancora dei Blues Pills. Oggi, in ossequio alla sincerità che ne ispira le intenzioni, era perlomeno doveroso unirsi al coro degli apprezzamenti.
Tweet