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R Recensione

6/10

Bushman's Revenge

A Little Bit Of Big Bonanza

Eppure io li ricordo, quei colori. Forti, sgargianti, violenti. Esplosioni di saturo cromatismo su sfondo neutro, boati sinestetici nel silenzio della notte, la ghignante anarchia dei musicisti che non devono chiedere mai. Prima crepitii pirotecnici, poi fantasiosi giacigli di melodia e dissonanza, costruzione e destrutturazione. L’atto terzo dell’ineccepibile carriera dei norvegesi Bushman’s Revenge (nucleo familiare dove gli Shining incontrano i Jaga Jazzist e ci scappa pure la copula con qualcos’altro, tanto per capirci) si stempera su uno sfondo asettico, un dialogo tra due sfere che si parlano addosso, senza più comunicare – in senso deteriore, in accezione referenziale, il concetto non cambia – qualcosa che lasci impresso il suo segno. “You Lost Me At Hello” ignorava il fruitore come entità esterna al formato disco e crivellava di colpi il bersaglio, con i suoi coltelli avant-noise. “Jitterbug” era l’ago della bilancia composto in stato di grazia, irriverente e sprezzante ma con, allo stesso tempo, la consapevolezza di poter agire su più piani strumentali e la capacità di farlo senza sforzo apparente. L’evoluzione poteva, doveva proseguire. “A Little Bit Of Big Bonanza” è, invece, una brusca fermata, coatta, inattesa.

Lontani sono i tempi in cui, per circoscrivere l’immaginario del trio scandinavo, venivano messi a confronto Ornette Coleman e Melvins (pur sbagliando, già allora, clamorosamente). L’attitudine, a ben vedere, è rimasta quella di sempre, ludica e divertita, nell’approccio professionale e scanzonato – non diciamo zappiano per timore di ritorsioni altrui – ad un materiale sonoro le cui coordinate, tuttavia, sono cambiate. La scelta di posizionare una cover in apertura di tracklist (“As We Used To Sing”, di Sonny Sharrock, originariamente oscuro e magmatico disfarsi free jazz) presupporrebbe trattamento ben diverso dell’hard rock sottilmente psichedelico della sei corde di Evan Helte Hermansen, in divagazione lisergica su un tappeto ritmico dalle nervose contratture swing. Il risultato, lungi dall’essere brutto, è invero un po’ banale. E questo sentimento di fondo, di qualcosa che avrebbe potuto essere ma in realtà non è, oppure non è stato, fa capolino ripetutamente. Una sensazione nuova, non gradevole. Il punto zero di degenerazione, che fa tappa attraverso la ieratica e monolitica forma doom degli arpeggiati distonici di “Jeg Baker Kokosboller” (buona, buonissima l’idea, meno lo svolgimento, appesantito da un arrangiamento noise di fondo non sempre all’altezza), lo si tocca con “Tinnitus Love Poem”, estenuante sequenza di fraseggi blues che suona, esattamente, come un indiscutibile saggio di bravura non richiesto.

A riprendere alcune delle intuizioni migliori di “Jitterbug” ci pensa, sostanzialmente il blocco centrale. “John Lennon Was The Greatest Man Who Ever Lived” prende esplicitamente per il culo, sin dal titolo, con un episodio acustico di comunque grande spessore – minimalismo per sei corde, spazzole sullo sfondo, suggestivo vibrafono aggiuntivo – compresso a meraviglia nel formato tipico della canzone. Il quadretto bucolico è rovesciato nel giro di qualche minuto, con l’intensa ed infuocata cavalcata di “Iron Bloke”, unica istantanea in cui l’hard rock hendrixiano di base non diviene preda di sfiancanti divagazioni solistiche, e soprattutto con “No More Dead Bodies For Daddy Tonight”, giocata su piccole variazioni ad incastro di sfumature cupe, proto metalliche, sparate con la potenza tortile di una pallottola – eccezionale il supporto ritmico di Gard Nilssen! – e liquefatte in groove acid funk di quadrata fisicità ed allenata visionarietà. Il picco di ispirazione alimenta, tuttavia, la generale visione critica che le conclusioni, una volta assunti di base, passino ora come prospicienti ad eccezioni che, tutto sommato, confermano la regola.

Contemporaneo all’uscita di “A Little Bit Of Big Bonanza” è “Never Mind The Botox”, sardonica ed incendiaria rilettura di brani altrui con sorpresa inclusa: una versione di “Bushman Rock”, inedito autografo al tempo non incluso in “Jitterbug”. I Bushman’s Revenge che rifanno i Bushman’s Revenge. Brutto segnale…

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