Dommengang
No Keys
Bobby Gillespie ha emesso la sua sentenza: il rocknroll è morto, lunga vita al rocknroll. Viaggiano ancora sulla cresta dellonda le dichiarazioni rilasciate dal leader dei Primal Scream al magazine Hunk, circa un mese fa: Most rock music and you can put us in this it could have been made 71, 72. It hasnt moved on. It feels like a dead language [ ] Rock is still a viable language its one that I speak and that our band speaks but it is 20th-century music. How can it be relevant? Its irrelevant. I honestly think white music is generally fucking irrelevant. Its too comfortable. I dont think its interesting. It hasnt been interesting for a while. Young white working class kids, who want to make their version of grime and drill, wont be forming fucking rock bands. It just feels old, doesnt it?. Ora, soprassedendo sul fatto che il rock venisse fatto morire già dal giorno successivo alla propria nascita, se lessenza dei concetti espressi può essere condivisibile, lesposizione rimane quantomeno lacunosa: loggettiva irrilevanza contemporanea della white music è dovuta ad un complesso di cause culturali, economiche e mediatiche piuttosto difficile da districare, figuriamoci da liquidare in due battute manichee. A morte le categorie platoniche, quelle sì ormai astoriche! La black contemporanea non è tutta Kendrick Lamar, così come il rock non è rappresentato se non in minima parte dai Greta Van Fleet: e di produzioni rock roboanti se ne trovano ancor oggi a bizzeffe, senza consumarsi nella ricerca.
Il piuttosto interessante caso di studio dei losangelini Dommengang è lesemplificazione del teorema che vuole le risposte ai quesiti chiave in prossimità di chi se li pone. Linusitato salto dal pur buono Love Jail (2018) a No Keys rispecchia la lineare evoluzione di chi, dopo aver assorbito la lezione dei grandi classici, volge il loro verbo a proprio favore, muovendosi con originale personalità allinterno degli steccati di genere. Il suono si allunga, si irruvidisce, si deforma: le canzoni, ancora di grande definitezza (la bella Jerusalem Cricket, cantata assieme a Camilla Saufley-Mitchell degli Assemble Head In Sunburst Sound, è forse il legame più diretto col capitolo precedente), tendono tuttavia a slabbrarsi, a incurvarsi in anse non previste. La produzione Thrill Jockey fornisce un primo suggerimento orientativo: continuare a ballare il boogie sì, ma solo se nel perenne chiaroscuro di un flusso di coscienza strumentale che rende indistinti i contorni delle composizioni (Earth Blues porta incisa a chiare lettere linfluenza dei Pontiak di Living ed Echo Ono). Ne risulta un lavoro ibrido per cui lammirazione, in più di un frangente, è sincera e assoluta. Il felice riff su pentatonica di Stir The Sea viene rimpallato da divagazioni acide e da un solismo particolarmente tagliente. Arcularius Burke è un saggio southern di sei minuti e mezzo costruito a mo di suite heavydelica e fatto confluire nellustoria frase chitarristica conclusiva. Lintontito minimalismo di Happy Death (Her Blues II) viene spruzzato di psichedelia pompeiana dalle tastiere di Adam Parks. Ai rumorosi phaser che spirano sul corpo guizzante dellhard rock à la West Coast di Sunny Day Flooding, infine, si affianca lomaggio californiano di Kudzu, gonfiato da una straripante sezione ritmica (in grande evidenza, dietro le pelli, Adam Bulgasem) e decorato da ampi arabeschi chitarristici (Sig Wilson gioca a fare il John Cipollina della situazione).
Rileggete la chiusura della recensione a suo tempo dedicata a Love Jail e capirete perché, se per molti No Keys potrebbe risultare una sorpresa, per noi è solo una conferma, per quanto di inaspettato spessore. Davvero unottima prova.
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