Led Zeppelin
BBC Sessions
Jimmy Page ci ha provato fino ad anni 90 inoltrati a combinare qualcosa della stessa qualità dei suoi settantiani Led Zeppelin, coinvolgendo prima la sezione ritmica degli Yes in un trio subito abortito, poi lex-Free Paul Rodgers nel modesto progetto Firm, in seguito firmando un buon disco solista e infine un altro ancor migliore insieme a David Coverdale degli Whitesnake. Dopodiché si è in qualche modo arreso, rilassando i suoi orizzonti e mettendosi piuttosto a celebrare adeguatamente quel grande passato, ad esempio portando in giro quelle musiche insieme al suo cantante Plant (però arrangiate alla magrebina) oppure appoggiandosi ai bravissimi Black Crowes, nel contempo rimasterizzando personalmente il repertorio e soprattutto tirando fuori qualche buona registrazione dal vivo, almeno ufficialmente inedita.
Questo doppio album uscito nel 1997 fa parte di questultima tipologia di iniziative e racconta due pagine distinte e diverse della gloriosissima carriera Zepp: la prima di esse, contenuta nel primo dischetto, si focalizza sugli inizi di carriera raccogliendo quattro diverse registrazioni della radiotelevisione di stato di performances dal vivo ancora in piccoli ambienti (il Dirigibile non è ancora così famoso ed affermato), spesso e volentieri ritoccate con sovra incisioni negli studi della stessa BBC com era duso comune a quei tempi, con risultati che avvicinano ancor di più queste versioni agli originali di studio.
Per un paio di pezzi vengono offerte due differenti esecuzioni mentre per uno di essi, ossia il proto-hard rock Communication Breakdown, ve ne sono addirittura tre. Cè da rilevare poi la gradita presenza di tre brani non compresi nei nove album ufficiali del gruppo (che vanno dal primo datato 1969 allultimo Coda del 1982). Sono tutte cover di blues, intitolate in ordine di apparizione The Girl I Love , Traveling Riverside Blues e Something Else. La seconda di queste, per inciso, è la canzone di Robert Johnson che Jimmy Page accennò ai compagni tanto per rompere il ghiaccio, quando si trovarono insieme per la prima volta in una sala prove al centro di Londra. Narrano le biografie che, accesi gli amplificatori e regolati i suoni, il chitarrista spiegò brevemente il suo ritmo ed i pochi cambi di accordo dopodiché partirono e la stanza esplose! Fu data la stura ad una jam session furiosa e trascinante, alla fine della quale tutti e quattro si ritrovarono con dei gran sorrisi stampati in faccia, reazione emotiva provocata dal sincero e assoluto piacere apportato dallistantanea presa di coscienza di una comune fratellanza ed una clamorosa efficacia musicale.
Balzano alle orecchie, in questo primo dischetto, alcune caratteristiche della proposta musicale del gruppo specifiche di quella prima fase: innanzi tutto la forte inclinazione al blues, ancora molto appoggiato su coverizzazioni più o meno ufficiali di brani altrui, e poi il timbro della Fender Telecaster usata da Page in quei primi tempi, pregevolissimo ma differente dal più caratteristico e storico suono della Gibson Les Paul verso cui a breve opterà, spinto in questo dallassoluta necessità di disporre di uno strumento dalla massima sonorità e profondità possibili, sì da tener testa allattacco terremotante di Bonzo Bonham su piatti e pelli.
Ascoltando il secondo dischetto subito dopo il primo si avverte levoluzione del quartetto nel giro di solo un paio danni: siamo infatti nel 1971 in un concerto a Parigi; stavolta davanti a migliaia di persone, in un grande ambiente e non in qualche aula magna universitaria, gli Zepp ancor giovani e freschi ma a quel punto affermati, rodati, curiosi e sperimentali sono già in piena fase di adulterazione della primigenia linfa blues, con deviazioni verso il proto metal (Immigrant Song), le pluri/tematiche progressive (Stairway To Heaven), i siparietti folk acustici (Going To California e Thats The Way), i medley tra lo psichedelico e i rocknroll (Whole Lotta Love).
Il repertorio si è fatto molto più ambizioso, le esecuzioni sono sempre potentissime ma in aggiunta più spettacolari, più ruffiane, anche più autoindulgenti (vale per tutte il confronto fra la Dazed And Confused da diciannove minuti di questo concerto e quella presente nel primo dischetto, molto simile alla versione incisa sul primo album e allincirca della stessa durata, sui sei/sette minuti): attraverso ripetute tournée in America e quattro album in studio di inaudita qualità la formazione si è scafata incredibilmente, sostituendo quel po dinnocenza iniziale con un accresciuto mestiere, ma per fortuna non arretrando di un metro in quanto a irruenza e decisione.
Si apprezza anche come nel 71 la strepitosa voce del giovane Plant fosse ancora bella integra, in grado di sovrastare i rumorosissimi compagni di squadra e di giochicchiare con le corde alte della chitarra di Page senza problemi. In primissimo piano ovviamente sta anche la straripante batteria di Bonham, indispensabile ed insostituibile motore per le evoluzioni sonore dei suoi compagni; il contributo finale Thank You è al proposito massimamente indicativo, specie a fronte del particolarissimo potere che aveva questo batterista di picchiare forte sempre e comunque, senza per questo compromettere alcunché nella riuscita di un pezzo: la suddetta ballata, resa originalmente in studio con tanto di dodici corde ed eterei tappeti dorgano, qui viene trasformata in una power ballad ante litteram di incredibile dinamica, con Page che nelle parti senza la batteria sfiora appena le corde assecondato da un Plant nella sua versione più intimista, ma poi al sopraggiungere delle sberle inaudite di Bonzo spalanca la manopola del volume e picchia senza remore. Che spettacolo!
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