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R Recensione

5/10

Melvins

Basses Loaded

La logorrea è loquacità che difetta di misura e buon senso. Ecco che non ci si limita più a parlare molto: si divaga, si perde il filo del discorso, si aprono interminabili parentesi che non conducono da nessuna parte, si ripetono allo sfinimento gli stessi concetti… Non è un caso che i giovani loquaci diventino, spesso, insopportabili vecchi logorroici. Lungi a me dare del vecchio insopportabile a King Buzzo (senescente non lo è ancora e no, decisamente non dev’essere insopportabile), ma è indubitabile che la produzione dei Melvins del decennio 2006-2016 sia stata soggetta a saliscendi qualitativi sempre più pronunciati anche – e soprattutto – per un’iperattività non giustificata, che ne ha diluito e smussato il potenziale. Accanto a dischi eccellenti (“(A) Senile Animal”, “Nude With Boots”) e molto buoni (“Freak Puke”, “Hold It In”) si sono affiancate così uscite insapori (“The Bride Screamed Murder”), inconsistenti (“Tres Cabrones”) o, generalmente, del tutto superflue (il recentemente scongelato “Three Men And A Baby”, originariamente registrato nel 1999 con Mike Kunka dei godheadSilo). Il pretesto per il nuovo full length – ventesimo? ventunesimo? xesimo? – è labile ed autoreferenziale: dal momento che in trenta e passa anni di attività il gruppo ha cambiato una quantità sterminata di bassisti (la famigerata Bassist Morgue), tanto vale mettere in piedi un disco dove la sezione ritmica di ogni brano sia coperta da un musicista diverso…

Gli aneddoti e le chiacchiere stanno a zero. “Basses Loaded” avrebbe potuto essere un progetto interessante se i suoi solchi fossero stati effettivamente colmati, saturati di bassi: una sorta di sludge massimale 3.0, croce e delizia di ogni subwoofer. Allo stato attuale, invece, abbiamo di fronte un LP-Frankenstein assai modesto, costruito – così come il già citato “Tres Cabrones” –  sulla base di brani già editi, cover risibili e traditionals al limite del grottesco. Nello specifico: al 10” in limited editionBeer Hippy” (edito nel settembre 2015 per Amphetamine Reptile, come Melvins 1983) appartengono la title track, “Shaving Cream” (l’originale, del 1946, è cantato da Paul Wynn), “Phylis Dillard” e “Take Me Out” (l’inno non ufficiale del baseball nordamericano, scritto nel 1908 da Jack Norworth e Albert Von Tilzer, qui nella sua versione lunga “Take Me Out To The Ball Game”). Ad un altro 10” uscito in 400 copie, sempre per Amphetamine Reptile, a gennaio, “War Pussy” (al basso compare Steven McDonald degli OFF!) appartengono l’iniziale “The Decay Of Lying”, “Hideous Woman”, la title track e la cover sardonica di “I Want To Tell You” dei Beatles, interamente composta da George Harrison (in “Freak Puke” era invece toccato al McCartney di “Let Me Roll It”: influenze interessanti…). Da un EP-split con Le Butcherettes del giugno 2015 viene ripescata la marziale “Captain Come Down” – unica prova al basso per Jeff Pinkus.

Da questa mescita arruffata rimangono fuori tre brani. “Choco Plumbing” (bassista è Jared Warren) è un hard rock vitaminizzato nella media, nemmeno troppo cattivo. “Planet Destructo” (con Trevor Dunn) è forse il momento più interessante: ad una prima parte mid-rock insonnolita e cannabinoide, per quanto armonicamente convenzionale, segue un ribaltamento pesticciato psych-jazz, le visioni tutte da (de)ridere di una cricca di scoppiati. Infine, “Maybe I’m Amused”, dove interviene a basso e armonica nientepopodimenoche Krist Novoselić, è un passaggio country rock stordito e caricaturale, tutto sommato non indimenticabile. Sul resto: le consuete chitarre massicce e sabbathiane (“Phylis Dillard” prosegue l’ottima tradizione), i riff straripanti di groove e segmentati su continui cambi di tempo (sono favolosi i primi cinquanta secondi di “Hideous Woman”, prima che il pezzo si impantani in un poco convincente cantato), i doom terminali (“Beer Hippie”), il glam infettato di bicordi (“War Pussy”) e le paludi southern in putrefazione (“The Decay Of Lying”).

I quattro anni di iato fra “Hostile Ambient Takeover” e “(A) Senile Animal”, pur se intervallati dalle collaborazioni con Lustmord e Jello Biafra, ridiedero una spinta propulsiva fenomenale al suono dei Melvins, che rischiava di arenarsi in una pericolosa secca. Il nostro auspicio è che si ponga un freno alla bulimia e si mediti, finanche lungamente, un disco degno di essere ricordato, da cima a fondo.

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