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R Recensione

6,5/10

Melvins

Pinkus Abortion Technician

Uno avrebbe tutte le ragioni per sentirsi, non dico adirato, ma quantomeno preso per il culo sì. Non solo “Pinkus Abortion Technician” è il quarto disco dei Melvins in un biennio scarso (nella lista è ricompreso anche lo scongelato “Three Men And A Baby”), progetti paralleli dei singoli membri esclusi. Non solo arriva a soli nove mesi da un doppio, “A Walk With Love And Death”, che definire inconcludente è fargli un complimento. Non solo tre brani sugli otto in scaletta sono cover o mash up alla bell’e meglio di materiale altrui (!). No: King Buzzo non si fa remore a dirci che questo disco nasce esclusivamente dalla volontà di avere due bassisti contemporaneamente in formazione (un’inconfessabile rarità, per un gruppo che di bassisti ne ha cambiati così tanti da aver dato persino il nome ad un’ironica Morgue). I due figuri sono Steven McDonald degli OFF! e Jeff Pinkus dei Butthole Surfers, già alternatisi a più riprese accanto a Buzzo e Dale Crover da “Hold It In” in avanti: due personcine a modo, che perdipiù – parole del band leader – “possono grigliare perfettamente una bistecca”.

Uno avrebbe tutte le ragioni per sentirsi, non dico adirato, ma quantomeno preso per il culo sì. Perché, in fondo, a cosa serve un disco come “Pinkus Abortion Technician”? A ricordarci che i Melvins sono vivi, vegeti e più scazzati che mai? Ad omaggiare smaccatamente i Surfers? Come se, negli ultimi anni, non lo avessero fatto abbastanza. A proposito di incroci tra band, a rincarare la dose qui c’è una rilettura approntata ad hoc: “Graveyard”, prima di essere spedita a calci nel posteriore nel consueto tritarifiuti noise di feedback ed effettacci assortiti, rivive in una nuova ed inedita veste hard rock, come dei Blue Öyster Cult di mezza età senza più remora alcuna. Poi volti la carta ed esce quell’altra passione, sì, proprio quella: i Beatles, ladies and gentlemen. Cosa sarebbero stati i Fab Four con gli occhialini lennoniani innestati sulla massa di ricci di Buzzo non c’è dato saperlo: esilarante e caciarona è, tuttavia, la libera interpretazione della storica “I Want To Hold Your Hand” (la terza nel giro di pochi anni, dopo il McCartney di “Let Me Roll It” in “Freak Puke” e “I Want To Tell You” in “Basses Loaded”), accelerata e rallentata randomicamente in un trionfo di chitarroni gonfi, bending stralunati e maestosi accordi in maggiore.

Converrete con me che nella vita vi siano divertimenti e divertimenti. I Melvins, che pure occhieggiano da sempre il grottesco, da almeno una decade sembrano aver trovato la loro (non) dimensione in questo sardonico surrealismo che tutto esagera e tutto storpia. Il gioco, uscito evidentemente fuori controllo nelle ultime uscite, funziona meglio in “Pinkus Abortion Technician”: che, certo, esibisce ancora i suoi poderosi giri a vuoto – il southern-AOR sotto steroidi di “Stop Moving To Florida”, mash up della “Stop” dei James Gang col demenziale talkin’ blues(core) di “Moving To Florida” dei Surfers: la lezione di brani come “The Water Glass” è sempre attuale… –, compensandoli tuttavia con una scrittura meno risicata del solito. Se le esalazioni muriatiche che emanano dalla pantomima circense di lento da acchiappo di “Don’t Forget To Breathe” fanno scompisciare e i due brani veloci del lotto – l’honky tonk punk di “Embrace The Rub” e la grungey orientedBreak Bread” – sono più che discreti, a fare un figurone è la stralunata “Flamboyant Duck”, un claudicante country di terz’ordine sul cui banjo si innestano riffoni glam à la ZZ Top e un’intera, massiccia coda sabbathiana (simile è lo schema in azione su “Prenup Butter”, dove i break sludge fanno avvitare su sé stesse le prospettive di un paludoso e narcolettico folk-blues).

Uno avrebbe tutte le ragioni per sentirsi, non dico adirato, ma quantomeno preso per il culo sì. Finché non ci si ricorda della legge delle probabilità: è statisticamente impossibile che almeno una ciambella su cento non venga fuori col buco, per quanto piccolo possa essere. Come dite? I cani da guardia non conoscono la legge delle probabilità? Aaaaargh!

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