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R Recensione

5/10

Melvins

The Bride Screamed Murder

Dalla genesi di “The Bride Screamed Murder”:

Ehi, tu. Cazzo guardi? Hai qualcosa da ridire sui miei bellissimi riccioli grigi? Sulla coroncina da satiro che si appioppa in testa il mio bassista prima di ogni concerto? Sul fatto che, da ormai tre album, non uso uno ma ben due batteristi? No, eh… Ok, senti qua, bello: mi chiamo Buzz. Buzz Osborne, se vuoi, ma non metterci la “u” in mezzo, sennò mi fai diventare come quell’altro rincoglionito, di cui mi piacciono tanto i dischi e di cui prendo spesso spunto per i miei riff saturi, ma che si è spaccato di roba da giovane e ne sta pagando le conseguenze ora. Ma che brutta è la vacca di sua figlia, in primis? Ne parlavo l’altro giorno con Mike, quello impomatato e flippato con le vostre canzonette anni ’60, che però mi fa fare i dischi. Ma no, non quello che vendeva premi sulla televisione commerciale fascista, cretino! Se il bongiorno si vede dal michelino… Ad ogni modo, bando alle ciance: chiamami King Buzzo. Ecco, lo sapevo… ho capito che è un soprannome che fa un po’ cagare, e che forse avrei dovuto scegliermi qualcosa di più figo, di meno spudoratamente rocchenrolle. Non posso farci più nulla, è da più di trent’anni che lo uso: da quando ho deciso che la musica andava cambiata. Coi Melvins. Punto.

A capo.

È opinione diffusa che tutti abbiano ben presente quale sia il significato del termine “marchio di fabbrica”, chiaramente più cool nella versione inglese “trademark”. Attacca un brano casuale, senza preavviso, e basta una nota, un’impostazione, una linea vocale, un effetto per riconoscere all’istante il gruppo o l’artista. Perché solo loro potrebbero suonare così, perché è un po’ di tempo che hanno virato su quel genere, perché sono rimasti fedeli a sé stessi dall’inizio alla fine, perché sono ritornati alle origini. Da un po’ di tempo, dopo aver adattato la storia alle proprie esigenze con sfrondate da estrosi modellatori, i Melvins hanno deciso di passare dalla parte dei modellati, con classe, bravura e sarcasmo intoccabili. Ce lo siamo detti, senza problemi, per “(A) Senile Animal”, grunge metallico dalle strenne noise: ancora meglio con “Nude With Boots”, che succhiava, dall’hard rock cafone degli anni ’70, pose e scheletri assortiti. Una presa per il culo dall’inizio alla fine, che però piaceva, e piaceva molto: cosa, d’altronde, è mai stato sotto le righe, in una carriera lunga e stratificata come quella di coloro che, con tutta l’opinabilità del mondo, vennero definiti la seconda band di Seattle?

Per questa volta, però, nessuna agiografia. Non ve n’è bisogno e, soprattutto, c’è da misurare la titanica tenuta ispiratrice del gruppo sul fuoco di “The Bride Screamed Murder”. Ventiseiesimo disco in studio. E lo si celebra di corsa, con toni strafottenti da parata militare o da farlocca esercitazione: “here we go, everyday, all the way”. Proprio “The Water Glass” sgrana una valanga di chitarre pesantissime prima di prendersi una pausa, guardarsi attorno e fare un po’ di footing al ritmo dei tamburi di Coady Willis e Dale Crover. Le perplessità abbondano: la prima volta fa, effettivamente, ghignare, ma è un gioco che stanca presto perché privo di qualsiasi sotterfugio intellettuale (inoltre, oltre due minuti sui quattro totali?!?). Poi si comincia davvero, con “Evil New War God”, che azzanna con le sue ritmiche heavy, mentre la sei corde si distorce ulteriormente entro il raggio di una distorsione già parecchio alzata: i Black Sabbath costretti ad un pit stop dalle derive sudiste.

Eppure il naso rimane arricciato. Nessuna melodia memorabile, pause infinite entro brani che sembrano reggersi faticosamente in piedi da soli, una “Pig House”, plasmata dalle ceneri delle vecchie “Civilized Worm” e “Billy Fish”, ricolma di citazionismo NWOBHM (l’arringa strumentale non è forse presa da “The Ides Of March”?) e, sui generis, un disco che abbandona totalmente la remota idea di prendersi sul serio. Certo, poi sono comunque i Melvins a suonare, e non l’ultima garage band uscita da Abbiategrasso. Inevitabilmente qualcosa piace, come l’hard-glam incendiario di “Hospital Up”, un sicuro inno da stadio in qualsiasi altro mondo normale che, in coda, implode su un folle pianoforte a passo free jazz, o “Inhumanity And Death”, feroce grattugia tra hardcore e riff salmodianti di potenza straordinaria. La sensazione di avere sotto il naso un’occasione sprecata fa però capolino in troppi punti del disco (solo un assolo catacombale salva “Electric Flower” dalla mediocrità) e si conferma più che mai con il finale affidato a “My Generation”, modestissimo ancheggiare sludge tirato per i capelli, e “P.G. x 3”, classico nonsense.

Dal comunicato su “The Bride Screamed Murder”:

I Melvins sono Buzz “King Buzzo” Osborne, Jared Warren, Dale Crover e Coady Willis.

Ma questo è un disco ampiamente dispensabile.

 

V Voti

Voto degli utenti: 3,5/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

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Emiliano alle 12:58 del 2 luglio 2010 ha scritto:

Ascoltato oggi la prima volta. Non è certo un capolavoro, ma il fatto che sappia di presa per il culo non mi disturba. Sto invecchiando, e mi mancavano.