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R Recensione

7,5/10

Pontiak

Echo Ono

C’è chi, una fattoria in Virginia, la comprerebbe solo per adibirla a postribolo roteante di bella vita, fiumi di champagne, strisce di coca e ragazze disinibite. Nessun rotocalco scandalistico ha ancora raccontato il privato di Lain, Van e Jenny Carney, i tre barbuti fratelli americani che da anni calcano i palcoscenici hard-blues con il monicker Pontiak: con ogni probabilità, non è ciò che mediaticamente si definirebbe emozionante. Gratia Dei. Altre corde vengono toccate, altri equilibri spostati quando è in gioco la loro musica, la loro incessante attività disco-tour-EP-tour-disco che, enormi differenze sonore e geografiche a parte, tanto fa ricordare l’incontenibile entusiasmo espressivo dei Motorpsycho di metà anni ’90. Una manciata di mesi separa “Comecrudos”, suite in quattro movimenti per pick-up al tramonto e crepuscoli sotto l’asfalto, da “Echo Ono” che, udite udite, è il sesto disco in studio in appena sei anni, registrato tra le mura amiche nella verdeggiante campagna virginiana. Una maratona.

L’occasione per la stesura e la composizione dei nuovi brani viene, ça va sans dire, ancora da un viaggio, quello di ritorno dalla festosa parata del South By Southwest. Nella mente dei Carney, d’improvviso l’illuminazione: dipingere il lavoro da venire, utilizzare le note come colori per dare forma ad un’opera che, nel rispetto del formato canzone, dia spazio alle sfumature di tinta. Uno shift ulteriore, rispetto a quella minimale scarnificazione della melodia e del battito compiuta sul meraviglioso “Living” e all’elaborazione panoramica dell’EP successivo. Con “Echo Ono”, i Pontiak scelgono di snellire il minutaggio della proposta e di valutare la forza dell’immediatezza, della risoluzione, dell’impatto. Non meno che tonitruante l’apertura, con esuberanza zeppeliniana e rustica concretezza southern a braccetto nella breve fucilata di “Lions Of Least”, lo sgranato hard rock di “The North Coast” dilatato verso una psichedelia in slow motion e le chitarre sfolgoranti di “Left With Lights”, dove l’esplosione del chorus scuote con una potente onda sismica l’avanzare narcolettico dell’intero brano. Gusto armonico e semplicità nelle trame, rimpasto di influenze e sincerità espressiva sembrano, così, marchiare a fuoco la natura profonda del disco.

Per meglio giudicare, tuttavia, occorrerebbe partire dal fondo. Dal punto in cui, cioè, viene a mancare sotto i piedi – per la prima ed unica volta – il senso acquisito di familiarità con la materia trattata. “Panoptica” è un rimescolare ossessivo di rumore bianco, feedback all’ultimo stadio, ritmiche stordenti e serratissimi drone, impressionante e cangiante trasfigurazione del sangue in astrazione post-metallica sulla scia di Psychic Paramount e dei compagni di etichetta White Hills. La botta, nella sua totale iconoclastia, è notevole. Inusuale al punto da far passare in secondo piano l’eccellente fattura sartoriale in cui vengono confezionati i sinuosi bassi dell’acid rock pastorale di “Across The Steppe”, i Blue Cheer selvaggi e minimali che rivivono poderosi nel palpitante finale di “Royal Colors” e l’acustica grandangolare di “The Expanding Sky”, chiaro retaggio di “Comecrudos”, doppiata a vista dalla clamorosa evocazione bucolica di "Stay Out, What A Sight", grondare di arpeggi cullati da slide e da una voce giovane, eppure già lungamente saggia.

Assente illustre, a margine, lo stoner. Ve ne eravate per caso accorti?

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Voto degli utenti: 7,1/10 in media su 10 voti.
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motek 7/10
andy capp 5,5/10
REBBY 5/10

C Commenti

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bill_carson alle 19:28 del 3 marzo 2012 ha scritto:

sembra bello

ThirdEye (ha votato 8 questo disco) alle 16:43 del 8 marzo 2012 ha scritto:

mm

Ecco, invece, questo, da dopo Sun on Sun, è quello che mi è più piaciuto. Sun on Sun per me era un mezzo capolavoro, ma i successivi son stati per me una mezza delusione. Questo invece lo sto ascoltanto moltissimo! Ottimo lavoro.

gull (ha votato 8 questo disco) alle 19:18 del 20 marzo 2012 ha scritto:

Piace molto anche a me. Grandissimo suono (al solito) e grande compattezza. Un disco da ascoltare tutto insieme, dall'inizio alla fine. Non un momento brutto, una caduta di stile. Personali ed ispirati (al solito). Da amare senza remore.

NathanAdler77 (ha votato 7 questo disco) alle 18:30 del 4 giugno 2012 ha scritto:

Ecco quel che si dice un gran bel dischetto "rock". Zeppelin, Steppenwolf, Sonic Youth, QOTSA, Arbouretum...I Carney bros sanno citare con personalità. Un hard-folk-psichedelico che non sbaglia un colpo, ottime "Across The Steppe" e il noise-acido di "Panoptica".

ufodictator74 alle 17:28 del 5 ottobre 2012 ha scritto:

su disco mi piacciono così così.invece dal vivo spaccano il culo