Saigon Kick
The Lizard
Saigon Kick è stata una solida e sottostimata band di hard/metal/pop/glam rock (!) proveniente dalla Florida la quale, pur avendocela messa tutta per affermarsi pubblicando negli anni novanta cinque o sei dischi tutti decisamente validi, solo con questo “The Lizard” (fra l’altro non il migliore del lotto) è riuscita a suo tempo ad assaporare un consistente, anche se non duraturo successo.
Il gruppo era partito come quartetto, per ridursi poi a trio in occasione del terzo album. L’opera in questione è comunque la seconda nella loro discografia e quindi è ancora presente nell’organico il robusto, ma assai anonimo cantante Matt Kramer, costretto in ogni caso a spartirsi il microfono col brillante leader e factotum della formazione: il chitarrista, cantante, compositore, produttore ed occasionalmente tastierista Jason Bieler.
Musicista di grande, quasi schizofrenica versatilità compositiva, questo Bieler è capace di passare dal frastuono chitarristico tipicamente metallaro degli episodi più tosti a deliziose power ballads acustiche e piene di cori, da psichedelici inni colmi di reminescenze beatlesiane e bowiane a piacevoli digressioni funky jazz dal grande e infettivo groove. Il frontman Kramer ha spazio solo negli episodi hard/metal della scaletta, a tutti gli altri pensa direttamente Bieler anche per quanto riguarda la voce solista, col suo particolare timbro acuto, penetrante, acidulo, quasi beffardo, in definitiva più interessante e peculiare del solito, classico vocione metallaro del suo cantante.
Lunga (16 titoli) e piacevolmente variegata quindi, anche se dall’interesse discontinuo, la scaletta di questo disco. Gli episodi più eminentemente hard finiscono per essere i meno interessanti, almeno a mio gusto, ma andiamo con ordine: si comincia bene con un plumbeo strumentale che tiene fede al suo titolo “Cruelty”, con il canto drammatico della solista che si fa largo in mezzo ad urla e lamenti di ogni tipo, abilmente usati anche in funzione armonica e ritmica.
Bisogna fare poi lo slalom fra due rockacci senza molto sugo, dominati da riff prevedibili e però separati fra loro da un episodio ottimo, la compatta ed urgente “Feel The Same Way” (cantata da Bieler) che procede tra lo sciabordare efficace di cori sintetici e soliste armonizzate, per finire poi “a cappella”, ad evidenziare l’inaudito arrangiamento tardo beatlesiano dei cori.
Alla posizione cinque arriva una cosa un poco alla Rem (tranne la voce), intitolata “God Of 42th Street”, con un lussureggiante lavoro a tutto braccio sulle chitarre acustiche e Kramer che pare il Bowie dell’epoca Ziggy Stardust. Tutto molto lirico e molto intenso, a seguire debitamente devastato dai cinquantuno secondi della scheggia punk di “My Dog”.
Incastonata fra altri due rockaccioni alla Extreme, dominati dai soliti riff monolitici, arriva poi la perla del disco e della carriera del gruppo, l’adamantina ballata “Love Is On The Way”, uno dei singoli in classifica nell’America del 1992 e ragione principale delle buone vendite di questo album. Bieler si inventa per l’occasione un arpeggio paradisiaco con le corde di nylon, procedendo poi a cantare bene ed arrangiare benissimo la sua grande melodia. Tra piatti iper reverberati e profusione di cori, la power ballad in questione non fa una piega e si rivela da brividi, essendo fra l’altro ben priva delle eccessive romanticherie/ruffianaggini che spesso affliggono tali sortite in tempo lento e con argomento amoroso.
L’interesse dell’ascoltatore si perde poi un poco, per ridestarsi alla posizione 11 grazie agli echi ribattuti di “Sleep”, un minuto tondo di strumentale chitarristico d’atmosfera, che fa da intro alla poppettara (in up-tempo e con classe, ma senza molte pretese, specie nel testo) “All I Want”.
“Body Bags” paga tributo ai Metallica, con Kramer impegnato a fondo a fare l’Hetfield e Bieler a sua volta a dimostrare che ci vuole un attimo a tirar fuori assoli più ficcanti e tecnici di quelli di Kirk Hammett.
Ultima chicca dell’album la fichissima chiusura “Chanel”, uno shuffle/skiffle acustico con il batterista Phil Varone impegnato a mulinare spazzole, il bassista Tom DeFile ad eseguire il suo bravo pedale jazz e Bieler a doppiare la sua acre voce, in un’atmosfera da demo fatto in casa molto piacevole e ricca di groove.
Niente di epocale, ma buon artigianato rock. I Saigon Kick sapranno fare subito di meglio col successivo Water (1994), più farcito di episodi interessanti di questo, comunque buon lavoro, nobilitato da una grande ballata.
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