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R Recensione

7/10

The Dead Weather

Horehound

Basta citare Jack White per capire di trovarsi di fronte ad un progetto ambizioso e accattivante che porta il nome di Dead Weather. Il nuovo supergruppo statunitense porta la firma della cantante Alison Mosshart (The Kills), del bassista Jack Lawrence (The Raconteurs), del chitarrista e tastierista Dean Fertita (QOTSA) oltre al già citato Jack White (The White Stripes), qui in veste di batterista, ritrovando il suo primo amor strumentale.

Horehound” produce all'ascolto una sbornia di blues explosion con netti tagli funk-rock a contornare e caratterizzare il tutto così come ci appare: un album terribilmente sporco e brutale. L'immediatezza e velocità del suono scorre in pezzi come “Treat Me Like Your Mother”, secondo singolo del disco e nata in un giorno appena, in cui è l'hard rock a farla da padrone, con una serie di sbizzarrite schitarrate zeppeliniane ad accompagnare altrettanti indomabili rullate di batteria. Il country rock apre il disco con “60 Feet Tall”, in cui la voce di Alison Mosshart produce un andamento black che affonda nel paludoso finale in cui i quattro musicisti mettono alla prova la cattiveria di fondo che regna nell'album.

Hang You From The Heavens”, primo singolo lanciato, è una schizofrenica visione gotica dell'hard rock, e qui la chitarra di Fertita è più minacciosa e rabbiosa che mai, taglia, incide il brano in modo compulsivo e razionale al tempo stesso. Il dub abbraccia “I Cut Like A Buffalo” in cui l'improvvisazione dei ragazzi regala una simpatica e riuscita versione “lenta” dei Rage Against The Machine. L'anima black del gruppo ritorna in “So Far From Your Weapon” e “Rocking Horse” con andamento rigorosamente western, soprattutto in quest ultima, in cui le voci di Mosshart e White s'intrecciano in modo lisergico e sofferente.

New Pony” (pezzo di Bob Dylan totalmente trasfigurato) e “Bone House” producono uno strano effetto: è come se i Wolfmother si fossero trasferiti a Nashville e ne abbiano subito l'influenza country della capitale.

La calda e intensa voce di White nel blues vellutato di “Will There Be Enough Water?” chiude l'album di questo, seppur improvvisato, supergruppo, un album che lascia aperto un taglio netto, profondo, che difficilmente si rimarginerà.

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Voto degli utenti: 6,5/10 in media su 7 voti.
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Emash 7/10
ThirdEye 4,5/10

C Commenti

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Marco_Biasio (ha votato 7 questo disco) alle 21:49 del 10 settembre 2009 ha scritto:

Cattivo tempo a buon gioco

Bravo Claudio, bell'esordio. Il tuo omonimo Sorge, nella recensione del numero luglio-agosto di Rumore, parla di "gothic-blues" - lo rimarchi anche tu - e non credo abbia tutti i torti. Ma lo trovo molto più convincente in tete a tete di striscio come "Will There Be Enough Water?" che, non so, in una "So Far From Your Weapon". In realtà, i pezzi aggressivi e un po' più veloci mi convincono nettamente di più rispetto a quelli dove prevale una certa calma o ci si assesta sul mid-tempo. "I Cut Like A Buffalo" è interessante, ma c'è da sistemare: idem per "Bone House" e "No Hassle Night". E' anche vero, però, che ci sono fiori di pezzi interessanti, già a partire da "60 Feet Tall" - che mi fa morire quando esplode, satura di elettricità, all'interno di un contesto comunque standard -, ai breakbeat zeppeliniani di "Treat Like Your Mother", all'assolo di "New Pony" (ma, sarò onesto, non mi pare complessivamente una grandissima cover: forse troppo raffazzonata. Il testo però merita, ergo ennesimo di milioni di applausi al signor Zimmerman). Brani migliori, per me, sono "Rocking Horse" - incrocio vocale spettacolare fra White e la Mosshart con crescendo morriconiano splendido - e la strumentale "3 Birds". Ad essere certosini siamo appena appena sotto il 7, ma sono fiducioso per l'avvenire.

Emash (ha votato 7 questo disco) alle 22:26 del 10 settembre 2009 ha scritto:

al solito,

Jack White non sbaglia. Rimango a preferire la dimensione Raconteurs, ma questo progetto si presenta molto interessante, più feroce, a tratti ipnotico, sempre fresco nel suo revivalismo ma andando ad attingere da fonti più hendrix-zeppeliniane, sfruttando un Fertita decisamente più schizofrenico e graffiante rispetto al più harrisoniano e pulito apporto chitarristico/vocale di Benson. Motivo per cui in questo caso mi associo con decisione a Marco nel preferire i pezzi più spinti, Treat like your mother su tutti. Concordo anche sul fatto che molti brani siano in realtà acerbi, più che altro poco curati nella forma, ma nel contesto la cosa per me ci sta un sacco, "dà un tono all'ambiente". Intensi anche i duetti vocali con la Mosshart, che in dimensione live assumono anche un che di vagamente erotico che male non fa! Mi unisco al coro dei 7, ma il mio è pieno e abbondante Bravo Claudio! sintetico e dritto al cuore della faccenda!