V Video

R Recensione

6/10

Wolfmother

Cosmic Egg

Dopo il successo dell’omonimo esordio targato 2005 e il repentino cambio di line up, torna la creatura hard rock australiana dei Wolfmother capitanata dalla personalità esplosiva del riccioluto Andrew Stockdale, che con l’innesto di un nuovo organico ai suoi servigi aumenta la carica e l’esplosività in un album di rock duro e puro ad alto tasso di testosterone.

Cosmic Egg” infatti gode di maggiore espressività compositiva e ricchezza strumentale, andando a colmare i piccoli vuoti presenti nel disco d’esordio con una buona dose di potenza sonora e riff grassi e magniloquenti, risultando come un piccolo bignami della tradizione hard rock dai Led Zeppelin ai Deep Purple, passando per i conterranei Ac/Dc ed un certo gusto per le sonorità vintage prettamente anni 70.

L’album si apre con “California Queen”, alternando atmosfere space rock soniche a frangenti heavy sabbathiani, strizzando l’occhio allo stoner secco e pungente dei Queens Of The Stone Age.

L’hard blues di “New Moon Rising” è il perfetto connubio fra Ac/Dc e Deep Purple, mentre “White Feather” è un boogie rock dall’incedere trascinante che lascia il passo al riff distorto di “Sundial” che puzza un po’ troppo di una certa “N.I.B.” di Iommi e soci, ma che risulta comunque potente ed efficace con le sue maestose aperture rock ed un riff circolare martellante.

In The Morning” è la classica ballata rock dalla formula ormai fin troppo usata ed abusata in 60 anni di rock: atmosfere vagamente malinconiche e caramellose, sembra un lento dei Led Zeppelin cucito male, mentre “10.000 Feet sfoggia un riff hard rock senza denti, lento e cadenzato, una “Kashmir” infarcita di tamarraggine.

Uno spiraglio di originalità si riapre con la title track, un hard blues in levare secco e trascinante, che cede il passo alla power ballad “Far Away” cucita di tutto punto ed intarsiata di melodie fresche e leggere.

Pilgrim” cerca di emulare i fasti migliori di “Joker & The Thief” pur non avendo il piglio catchy e la sensualità strisciante di quella contenuta nell’esordio.

E si prosegue così fino alla fine, nell’anonimato e nell’autocelebrazione con continui rimandi ai maestri che hanno fatto la storia del rock (inutile elencarli di nuovo, dato che sono talmente tanto ovvi e scontati), senza aggiungere nulla di nuovo a quanto già detto e stradetto.

Nonostante tutto “Cosmic Egg” godrà sicuramente di un notevole successo di pubblico, portando nuovi adepti sotto l’ala protettrice del rock, e questo non è assolutamente da considerarsi un male, anzi.

Dischi del genere fanno sempre bene per ricordarci da dove veniamo, in questo marasma di sperimentazione e contaminazione che è la musica odierna un album di rock schietto e sincero fa sempre bene. È un po’ come ritornare nella casa in cui siamo nati, con quella sensazione di tepore caldo e famigliare che ci ha cullato dalla nascita. Non ci cambierà la vita, ma ci accompagnerà per mano in una passeggiata fra i sentieri dei nostri ricordi.

V Voti

Voto degli utenti: 6,2/10 in media su 5 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5

C Commenti

Ci sono 3 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

Marco_Biasio (ha votato 6 questo disco) alle 21:45 del 10 novembre 2009 ha scritto:

Credo che con dischi del genere partire con il giochino dell'"indovina chi?" sia un passatempo francamente inutile e, anzi, pedante. Troppo facile da fare. Quindi bravo Luca per non aver insistito più di tanto con i numi tutelari dei ragazzi, evidentissimi. D'altro canto io mi aspettavo le peggiori cose da "Cosmic Egg", sarà stata l'ansia per la riconferma del secondo album, o il fatto che della formazione originale nulla è rimasto. Invece, per certi versi, è un disco sorprendente: sicuramente più duro dell'esordio, con qualche passaggio proprio riuscito (penso a "10,000 Feet" o title-track) e, in generale, un sacco di belle canzoni. Ecco su cosa focalizzarsi: la capacità di costruire pezzi che abbiano un proprio nerbo nonostante l'inevitabile derivatività. Per me Stockdale vi è riuscito benissimo, alzando il volume degli amplificatori (penso anche ai Black Sabbath di "Sundial") e provando cosine diverse, come il glam virato Maiden di "White Feather" e il groove di "New Moon Rising". Alla lunga, magari, taglia un po' le gambe (troppi brani?) ma la costruzione tiene più che bene. Loro si riconfermano come un prodotto tra i più interessanti del revival hard rock degli ultimi anni, assieme a Black Stone Cherry e Wolf & Cub (il primo che mi dice Jet gli stacco la testa). Sempre revival è, quindi le prospettive sono limitate (l'attacco di "In The Morning", poi: ricorda un po' una famosa scala...), ma si torna a casa con un pugno di ottimi pezzi. Di questi tempi non è poco.

ozzy(d) (ha votato 5 questo disco) alle 14:24 del 15 novembre 2009 ha scritto:

Classico gruppo da una botta (ovvero buon disco di esordio)e via.

simone coacci (ha votato 6 questo disco) alle 15:17 del 15 novembre 2009 ha scritto:

Questo è suonato e prodotto meglio. Ma la freschezza dell'esordio si fa rimpiangere. Simpatico gruppetto revisionista.