Wolfmother
New Crown
Quando Andrew Stockdale decise di crossare Wolfmother sulla copertina di Keep Moving, pensava di poterselo permettere: lui, cioè, da tempo immemore factotum ed eminenza grigia del trio australiano, di fatto lavorava già da tempo come un solista circondato, tuttal più, da bravi ed onesti turnisti. Da solo scriveva, arrangiava, disponeva. Il concetto di band comunemente inteso era morto con lesordio del 2005 e con i primi scombussolamenti interni alla line up. Nominalmente, la differenza tra un prodotto a nome Wolfmother e uno a nome Stockdale era (e tuttora è) nulla, se consideriamo che i musicisti ivi allopera sono gli stessi che negli ultimi anni hanno completato il nucleo della formazione: ecco perché si era palesata la tentazione, legittima, di seppellire una volta per sempre il vetusto totem della casa madre e chiamare finalmente le cose con il loro nome. Se oggi, ad appena un anno di distanza, quelleredità annosa rialza la testa è perché nellequazione, apparentemente perfetta, non si è riuscito a sciogliere la pesante incognita semiotica, il sottotesto che certi nomi si trascinano inequivocabilmente dietro, e che inequivocabilmente è assente in altri. Pur assunto che Wolfmother è Andrew Stockdale, dire Wolfmother non è come dire Andrew Stockdale: una girandola di cambiamenti che ben testimonia la volatilità umorale di chi segue e supporta i musicisti.
New Crown è la finta ripartenza di un finto gruppo che, tolta lurgenza comunicativa, non sembra avere più nulla da dire. Se il non disprezzabile Cosmic Egg ingessava in unepica trionfante gli slanci selvaggi dellesordio, appariva da subito evidente come non seguisse poi unulteriore evoluzione, non ci fosse alle spalle un vero e proprio progetto studiato nei dettagli, quanto un cammino irregolare e sconnesso piegato, di volta in volta, alle esigenze del momento le traversie della band di cui sopra ne rappresentano la cartina al tornasole. Il trend si riconferma per la terza tappa a nome Wolfmother (Ian Peres al basso e alle tastiere, Vin Steele alla batteria), ma con risultati nettamente inferiori. Il filo della pretesa scarsità di mezzi e dellautoproduzione segnano da subito la grana del full length, messo in free download sul Bandcamp ufficiale: il suono è più compresso, meno preciso, solcato da vuoti strumentali e sproporzioni di scrittura, combattuto tra oneste calligrafie hard rock (lattacco fulminante della zeppeliniana How Many Times) e le gigantografie sabbathiane di Tall Ships, caricata da un imponente assolo che, per imprecisione e indeterminatezza, sembra quasi registrato dal vivo.
Non sappiamo dire se sia stata fretta, ristrettezza nei tempi o semplice povertà di idee, ma le stesse modalità con cui viene suonato New Crown sollevano più di qualche perplessità. A fornire la prova peggiore è Vin Steele, decisamente poco preciso e spesso fuori tempo: da brividi la prestazione su I Dont Know Why, un pezzo di per sé poverissimo (un solo giro innaturalmente reiterato in phaser ed un falsetto caricaturale) affondato da un approccio amatoriale. Gli altri non sono da meno: lo sporchissimo garage Nuggets di Feelings, una title track che ripropone con variazioni minime il riff della sopraccitata How Many Times, il rocknroll imbolsito di "I Ain't Got No", una Enemy Is In Your Mind che si gioca la carta della tridimensionalità a spese della frase di Sabbath Bloody Sabbath (un po troppo per essere una pura citazione), il quasi-stoner radiofonico di Radio Tutto il disco si muove su di una mediocrità inconsistente, a tratti imbarazzante, scendendo di brano in brano in unaccozzaglia di stilemi altrui svogliatamente, e poco professionalmente, agghindati alla belle meglio.
Domanda: fosse uscito con distribuzione tradizionale, New Crown avrebbe avuto davvero questa forma? È questo il prezzo da pagare per un prodotto gratuito? In tal caso, fidatevi, non ne vale proprio la pena.
Tweet