Incoming Cerebral Overdrive
Le Stelle: A Voyage Adrift
Per parlare di Le Stelle: A Voyage Adrift, non si può prescindere dal citare il contorno. Dalle condizioni ambientali e temporali, per farla breve, che avevano consentito ai pistoiesi Incoming Cerebral Overdrive, nel 2009, di fare il salto di qualità ed esplodere su Supernatural Cat, con il virulento esordio Controverso: il classico disco, ben lungi dallessere pietra miliare, da cui tuttavia tutti prendono un po spunto, e che nessuno puntualmente si sente in dovere di ringraziare, o perlomeno citare. Risultato: un benvenuto proliferare di formazioni math-core col tricolore sulla grancassa ed i canonici dieci, per non dire quindici anni di ritardo con i colossi americani. Controverso, ça va sans dire, è presto passato in secondo piano, vuoi anche la solo parziale assonanza (che buffo termine!) con il magmatico universo delletichetta di Malleus e compagni. Giustificata è, da questa prospettiva, la scelta meditata di ripensare specifici percorsi, affiancando allestro singolare una tradizione di musica pesante che getta le sue radici in una consolidata collettività. Come già, anni addietro, i Cult Of Luna con Eternal Kingdom la qualità del nome dovrebbe far riflettere anche gli Incoming Cerebral Overdrive, per il loro secondo atto, prediligono la complessa matrice metatestuale, proiettando lessenza del disco fuori dal disco stesso: lartificio, il più fittizio dei diari letterari ritrovato chissà dove e alle cui metafore, alle cui pagine, alle cui reticenze sono affidati gli squarci pindarici e gli andamenti di ogni singolo brano.
Ed allora, le canzoni. Il viaggio alla deriva degli I.C.O. procede a zig zag in un vischioso firmamento, tour de force galattico (una stella diversa per ogni traccia) che deforma il canonico giochino di accumulo, sospensione e sfogo del frusto paradigma post-metal via ventaglio di tutti gli innesti più uno. Bruciante la partenza: gli elaborati ghirigori distonici di Mirzam incastrati in un contenuto midtempo che frulla Cephalic Carnage e Neurosis, i datati effetti space di Sirius sovrapposti a poliritmie metalliche e strazianti chitarre post-core e Betelgeuse che tracimante impatto fisico a parte fa già squillare il primo campanello dallarme: la fascinazione, potente ai limiti della decalcomania (basti ricordare il recente Maktub degli Zippo, per un contingente precedente non lontano nel tempo), per i Mastodon raffinati e levitanti del finora unicum Crack The Skye, il cui inconfondibile marchio di fabbrica viene sminuzzato in una babele di microinvenzioni, tra feedback, improvvisi rilasci di elettricità, duelli strumentali sul filo della dissonanza. La band di Atlanta è più di un fantasma ed emerge ancora, con tutto il peso della sua eredità, specialmente nel tecnico hardcore di Bellatrix (dejà-vu immediato). Non tiene il puro raffronto cronologico, in quanto Controverso succedeva di qualche mese all'allora quarto capitolo degli americani. La domanda non è, quindi, mal posta: cosa succede allidentità degli Incoming Cerebral Overdrive?
Le risposte possono essere molteplici. Su tutte, lumanissima speranza di poter arrivare, hic et nunc, a tutti quegli ascoltatori sostanzialmente non tagliati per le spine sulfuree dellesordio. Di maledetto, in Le Stelle: A Voyage Adrift, cè poco, perché limponenza del concept e la necessità di tendere un visibile fil de rouge tra un pezzo e laltro impresa, a scanso di equivoci, riuscita, non fosse altro per loculato abbattimento dei tempi morti limitano, inevitabilmente, la tentazione iconoclasta di andare oltre la forma canzone. Sirius B coniuga laceranti assalti ad interstizi di chitarra jazz, Kochab annega in una coltre di fitti arpeggi psichedelici (trasposti, tali e quali, anche in Polaris) prima di subire il reflusso di unonda durto straripante, negazione del concetto stesso di stasi, i magli ritmici di Adhara si abbattono con forza sulle chitarre in (d)evoluzione math-core e sublime levitazione à la Panopticon. È il preludio al gran finale, gli undici minuti di Rigel che, nel suo insieme, è elegia doom trapuntata da un lugubre piano, immaginifica rappresentazione post-core (ampliano il già massiccio muro sonoro Poia e Urlo degli Ufomammut) e spezzettato fluire di coscienza. Tutto ottimamente costruito, ma niente che risvegli davvero un brivido, una scintilla demozione.
Difficile a scovarsi, come parziale ammissione, la differenza tra candida asetticità ed imperfetta emotività. Agli autostoppisti galattici del Nuovo Millennio, tuttavia, le stelle sono destinate a rispondere sempre e solo forty-two...
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