R Recensione

7/10

Nick Oliveri & Mondo Generator

Dead Planet

Quello che ha sempre affascinato di più della produzione di Nick Oliveri è la scelta nei titoli dei suoi lavori. Già Cocaine Rodeo è un titolo stupendo per un disco d’esordio, e A drug problem that never existed pur essendo più prolisso riusciva ad essere inquietante, decadente e ironico al tempo stesso.

L’apice però lo troviamo senz’altro nelle piccole schegge di poetica punk come Unless I can kill, I want you to die, Open up and bleed for me e soprattutto (perla della perle per i pirla) Girls like christ, di una blasfemia talmente gratuita che uno rischia di rimanerci secco prima ancora di essere fulminato da una trashata metal non indifferente. Dead planet non è un titolo originalissimo, specie in questi tempi di finto buonismo ambientale (vedi il recente Live Earth l’apice dell’iceberg). I titoli dei brani però sono da incorniciare e riescono a superare abbondantemente il livello dei precedenti: Like a bomb, Life of sin, Mental hell, All the way down, Lie detector, Never sleep. Una raccolta di mini-nevrosi individuali e collettive davvero notevole.

Ma voi vorrete sapere della musica, presumiamo. Beh la musica c’è, come sempre quando si parla di Oliveri, ed è anche piuttosto buona. Insomma non si può certo dire che Nick sia il figurino ideale con cui far uscire la propria figlia ma dal punto di vista musicale è affidabile come un orologio svizzero. Alzi la mano chi non ricorda le sue prodezze nei Queens of the Stone Ages in quella line-up ormai storica(con Homme, Lanegan e Grohl) che probabilmente è la più devastante degli ultimi dieci anni e che tutti noi rimpiangiamo quotidianamente. Dopo la sua uscita dal gruppo per gli alterchi con Homme la sua assenza si è fatta sentire nei Qotsa, eccome se si è fatta sentire. Oliveri era il puntello più schizzato e punk, l’imprevedibilità e la violenza fine a sé stessa, e la sua assenza ha finito per rendere più irto di ostacoli il viaggio di Homme (e lo si è visto bene nei non riuscitissimi Lullabies to paralyze e Era vulgaris). La carriera solista inaugurata con Cocaine Rodeo prometteva invece molto più che semplici scintille: quella capacità di alternare sapientemente hardcore violento e anarchico, stoner nostalgico e la caratteristica foga screamo era semplicemente esplosiva, una scossa d’adrenalina pura. E Simple exploding man era da pura antologia del rock. A drug problem that never existed manteneva intatte una foga e una libertà compositiva molto elevate, mostrando al contempo una grande raffinatezza primitiva (penso ai gioiellini acustici All I can do e Day I die). L’eleganza quasi cantautoriale è stata motivo di esplorazione nella prima parte del semiacustico (ossia metà acustico e metà casinaro classico) Demolition Day, breve excursus (praticamente un ep) da cui vengono qui ripresi alcuni brani.

E Dead planet com’è? La formula magica è sempre quella descritta sopra ma sembra di notare un leggero alleggerimento del sound, anzi un tentativo di ammorbidire (per quanto sia possibile ammorbidire brani come Basket case) la produzione sonora, alla ricerca di un rumore più pulito e melodico. Intendiamoci, gli urlacci screamo ci sono ancora e le sfuriate punk (I never sleep) e hardcore (All systems go, Basket case) con tanto di “fuck you” finale (Life of sin) non possono che smorzare quanto detto. In realtà dietro il rock grezzo di Mental hell si percepisce una grande cura per l’equilibrio sonoro e per gli arrangiamenti. È questo velo patinato che fa storcere il naso quando si ascoltano motivetti eccessivamente popular in She only owns you e quando si scorre via nell’insipida quiete melodica di Paper thin o nel riff proto Velvet Revolver (!) di All the way down. Sono cose che danno fastidio soprattutto perché io Nick Oliveri lo voglio come è sempre stato: marcio, incazzato, anarchico, punk, menefreghista e talentuoso. Non voglio certo ritrovarmi un giorno l’ennesimo smielato cantautore convertito al folk.

Ma non vorrei che questa mia filippica fosse eccessivamente severa per un disco probabilmente inferiore ai precedenti, ma ancora di pregevole fattura, e che ha i suoi momenti da ricordare: Lie detector, che forse non è neanche tra le più belle ma che illumina il cantato tra il pazzoide e l’isterico di Nick che qui si diverte anche a riesumare suoni à la Qotsa. Take me away, ballata molto atipica e barcollante spezzettata da un intermezzo quasi psichedelico e caratterizzata da una voce ammaliante. Ma il gioiello è soprattutto Like a bomb, riff potente e suadente, cantato devastante ai limiti dell’isteria per una vera e propria esplosione che fonde mirabilmente stoner e screamo e suona come un enorme “vaffa” a tutto. Questo è il Nick Oliveri che vorremmo sempre ascoltare e che ci fa attendere con ansia il prossimo album.

V Voti

Voto degli utenti: 4,5/10 in media su 2 voti.
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