Refused
The Shape of Punk to Come
Sarà un mio limite, ma non sono mai stato uno sfegatato fan di gruppi provenienti dalle regioni scandinave. A parte l’indubbio talento per la scelta dei nomi (Turbonegro, Hellacopters, Gluecifer, e compagnia cantando) le proposte musicali, chiassose, non proprio originalissime e spesso ripetitive, finivano molto presto con l’annoiarmi – ma questo, ovviamente, è un parere del tutto personale. Piuttosto che gli sbilanciamenti verso il glam-metal, meglio allora il garage-punk super accelerato degli Hives, anch’esso canonico ma molto più divertente.
Tutto questo per dire che quando ho ascoltato per la prima volta questo disco dei Refused, ho stentato a credere che potesse trattarsi del lavoro di un combo svedese. Eppure gli anni sono proprio quelli degli altri gruppi citati, ovvero la fine dei ’90.
Quali sono allora gli elementi di differenza tra i Refused ed i loro conterranei? Beh, tanto per cominciare questi ragazzi affondano le proprie radici nell’hardcore e nel post-hardcore americano più nobile, traendo innumerevoli spunti da gruppi come Nation of Ulysses, Fugazi, Sick of it all, Rage Against the Machine, Helmet, Jesus Lizard, Deftones ed altri. Ad alcuni di essi sono anche accomunati dall’impegno politico-militante in senso straight-edge e vegan. Tuttavia i Refused amalgamano tutti gli elementi in loro possesso creando una miscela davvero personale nella quale confluiscono anche componenti inusuali quali fraseggi jazz, partiture tecno, assaggi di elettronica e di ambient. Le canzoni riescono quindi a stupire perché prendono delle pieghe che non ci si aspetta, mantenendo in tal modo sempre viva l’attenzione di chi ascolta. La potenza e l’emozione dei fraseggi più duri è altamente coinvolgente. È una catarsi liberatoria di chi ha veramente qualcosa da dire, e lo dice a squarciagola.
Il cantante Dennis Lyxzén è un incrocio tra Ian Svenonius (NoU), Guy Picciotto (Fugazi) e Zack De La Rocha (RATM). Le sue urla bestiali trovano degno supporto sia nelle affilatissime chitarre che nella rombante sezione ritmica. I musicisti peraltro suonano benissimo, ma non in modo particolarmente spigoloso o contorto, cioè non propendono verso il math-rock alla Dillinger Escape Plan. I suoni sono poi molto compatti e la produzione è decisamente ottima.
Certo, il “purista” del punk, attratto magari dal titolo dell’album, potrebbe rimanere spiazzato al primo ascolto. Ma Lyxzén dice: “Abbiamo realizzato questo disco come una sfida verso i pregiudizi della gente circa cosa deve essere un gruppo punk e che cosa deve suonare, in quanto il punk è il genere musicale più conservatore che ci sia. Anche nell’hardcore ci sono tantissime regole circa quello che è da considerarsi accettabile e quello che invece non lo è, e questo annulla completamente l’intero significato dell’idea originaria”.
Partendo da questa riflessione mi sembra inutile stare ad elencare uno per uno i brani che compongono questa monumentale opera che, a prescindere dal genere, è probabilmente uno dei migliori album europei mai registrati (ed è anche, ahinoi, il capitolo finale della band, scioltasi di lì a poco). Comunque sia ed a mero titolo di esempio basti ascoltare “New noise”, il brano forse più noto, con il suo inizio in sordina che sembra proprio voler preparare alla successiva deflagrazione (di “noise” appunto) e che, nel suo momento centrale rende questo “rumore” addirittura melodico ed incredibilmente trascinante. Oppure “Liberation frequency”, un brano che passa dal semiacustico all’ipersaturo come se l’intenzione fosse quella di darti una bella sveglia (in tutti i sensi). O ancora la saltellante ed orecchiabile “Summerholidays vs. Punkroutine” o la potente “Refused are fucking dead” (un epitaffio?), con il suo fraseggio chitarristico medio-orientale impossibile da dimenticare.
La cosa forse più incredibile è che un disco del genere sembra godere della giusta considerazione soltanto all’interno di una non troppo vasta cerchia di estimatori, mentre chiunque creda che il rock’n’roll sia il sale della vita dovrebbe quantomeno ascoltarlo, rimanendone, io credo, inevitabilmente affascinato.
Tweet