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R Recensione

7/10

Bob Mould

Beauty & Ruin

“Dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fiori”

 

 

Spesso le copertine degli album dicono poco o nulla del contenuto dello stesso. In questo caso invece, l'immagine di un giovane e pensieroso Bob Mould ai tempi degli Husker Dü, alle prese con il fumo accecante di una sigaretta, contrapposta in dissolvenza incrociata alla sua immagine, ugualmente intensa, di oggi, oltre a essere piuttosto suggestiva è chiaramente un messaggio che c'è qualcosa, in quest’album, che ha a che fare con il passare del tempo. Il passaggio del tempo per Bob Mould, evento che, deduciamo, risponde a meccanismi e logiche diverse rispetto alla stragrande maggioranza degli abitanti di questo pianeta.

Ci sono sicuramente tanti pensieri nella testa di Bob Mould. Il suo passato certo, ma anche la recente scomparsa del padre, venuto a mancare durante il tour del suo precedente album, Silver Age, nel 2012. Mould ha dichiarato che la morte del padre ha influenzato molto la scrittura di questo Beauty & Ruin, il suo undicesimo (!) album solista, spingendolo verso una profonda introspezione e attenzione verso gli aspetti più puri della vita di un uomo.

Questo stato d’animo lo si intuisce fin dall'inizio, con “Low Season”, la prima traccia, lenta, densa, malinconica; la sua tipica, dolce e potente chitarra ad accompagnare versi come  “You were always there, to hear my spirit drown”, “Chances that I wasted in my unforgiving days” o ancora “Low season, turn the sunlight down, no reason to stay around".

Ed ecco quindi svelarsi il collegamento con il titolo dell'album: la bellezza dell'amore di un padre contrapposta alla rovina causata dalle turbolenze degli Husker Dü – i litigi, le droghe, il suicidio del loro giovane amico, manager del gruppo, David Savoy. La successiva Little Glass Pill ricorda molto il sound degli Sugar, con varie puntate verso l’hardcore puro, il ritmo frenetico e testi come "I’m losing my mind" e aperte incitazioni a vivere in controtendenza. Palpabile anche qui quindi il senso di dolore e di travagliata riflessione dell’artista ferito Mould.

Bob Mould sostiene che ci sia in questo Beauty & Ruin un arco narrativo consequenziale. I brani di apertura riflettono la confusione e l'oscurità che lo adombrano in questo periodo, basti pensare che persino il pezzo più movimentato e apparentemente spensierato dell’intero album “I Don’t Know You Anymore” (il primo singolo estratto) contiene versi come “A thousand pieces of my heart drop across a weathered floor, maybe over time this confusion will fade”. Sound fresco e accattivante, ma il pezzo forte è il video, dove si racconta la parodia dello showbiz contemporaneo che incontra il marketing digitale, fino al punto in cui si perde ogni barlume di lucidità pur di esserci (nella musica, nell'industria discografica, tra i consumatori finali).

Kid With Crooked Face” richiama il sound veloce e aggressivo dei mitici Husker Dü rivisti dal “metodo” Foo Fighters, mentre “Nemeses Are Laughing” vede l’artista ripercorrere le orme dei suoi esordi,  raccontando di un periodo in cui "there is nowhere left to go".

Ma ecco che la vena di ottimismo comincia a palesarsi nell'arco narrativo. E' la magistrale "The War" a fare da spartiacque tra il Mould delle rovine e il Mould della bellezza, con un pezzo che narra degli insegnamenti che la guerra lascia dietro e che dovrebbero spingere a non farne altre. “Forgiveness” porta definitivamente la speranza nell’album, raccontando di un Mould che si rivolge a qualcuno per chiedere il suo perdono prima che sia troppo tardi. Dal male - le rovine - arriva poi sempre qualcosa che porta con sé la bellezza della rinascita. "You’ll see the cold, grey, slow beginning heading towards this warm, fast, sunny finish". 

“Tomorrow morning” rinforza quest’ aurea di positività, con Mould che riemerge completamente dal buio verso orizzonti di fiducioso ottimismo: la forza e il desiderio di affrontare il mondo a testa alta. Mould dimostra che così come è maestro con la sua chitarra nel riprodurre rabbia e dolore, allo stesso tempo sa bene come si trasmette l’esuberanza e il fervore di un giovincello innamorato.

In “Let The Beauty Be”, pezzo completamente acustico, Mould sembra trasformarsi in un oratore da pulpito religioso, invitando a prendere il meglio da quello che la vita ha da offrire: “You’ve been living on the edge of a knife, maybe this could be the time of your life, it’s time to put it down and pick yourself up".

Fix It conclude l'album come l’avrebbero fatto i Japandroids, che tanto devono a Bob Mould, lanciando l’ultimo e definitivo urlo di redenzione e rinascita dell’artista, in un album che sa di catarsi per la sua anima martoriata ma ricca di memoria e di tanti spunti per non fermarsi mai " it’s time to fill your heart with love”. 

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Voto degli utenti: 6,5/10 in media su 2 voti.
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ThirdEye 6,5/10

C Commenti

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nebraska82 (ha votato 6,5 questo disco) alle 23:25 del 15 ottobre 2014 ha scritto:

" i don't know you anymore" è una bomba, il resto un po' altanenante ma Mould resta un autore di canzoni impareggiabile.

ThirdEye (ha votato 6,5 questo disco) alle 19:20 del 18 ottobre 2014 ha scritto:

Il buon vecchio Bob... Sempre un piacere riascoltarlo. Ovvio che i fasti degli Husker Du e degli Sugar sono ormai lontanissimi. Comunque, sempre godibilissimo.